Una giovane imprenditrice si cimenta in un’ardua sfida: per 40 giorni nuota in un fiume in Ghana e lo fa per l’ambiente. Scopriamo il motivo dietro questa impresa che sta facendo il giorno del mondo.
Una storia di coraggio ha commosso il mondo interno, catalizzando l’attenzione. La protagonista di questa vicenda, finita al centro dei riflettori, è Yvette Yaa Konadu Tetteh che ha fatto del nuoto un mezzo di attivismo. La giovane imprenditrice, specializzata nel comparto agroalimentare, ha deciso di cimentarsi in una sfida coraggiosa per urlare in tutto il globo quanto il settore del tessile sia insostenibile.
L’industria della moda è la seconda più inquinante a livello globale: con i suoi effetti lede il Pianeta – sempre più impattato dalle sue produzioni insostenibili – e le persone, costrette a condizioni di lavoro inique. Con il fenomeno del fast fashion imperante (qui trovi un approfondimento) si sta arrivando a un punto di non ritorno: i danni della moda sono immani. Tra questi a far tremare il Pianeta è la gigantesca mole dei suoi rifiuti, composta da scarti tessili e vestiti inutilizzati.
Scarti che non trovano una nuova collocazione, finendo per spargersi un po’ ovunque nel globo. Ad accendere i riflettori su questo quadro allarmante è stata Tetteh che si è lanciata in una sfida molto impegnativa, nuotando per 40 giorni in un fiume del Ghana. Scopriamo nel dettaglio gli obiettivi e i risultati di questa impresa.
Nuotare per 40 giorni in un fiume non è di certo una passeggiata. Ma Tetteh non ha avuto paura, affrontando questa missione allo scopo di sensibilizzare la collettività sul tema dell’inquinamento dettato dalla moda.
Attivista, impegnata nella giustizia ambientale, Tetteh ha nuotato 5 ore al giorno, per un totale di 40 giorni. Il fiume che ha fatto da palco alla sua sfida è il Volta, situato in Ghana: ad affiancarla un catamarano, il The Woman Who Does Not Fear, dedicato alla ricerca che le ha fatto da spalla.
L’obiettivo è stato quello di dimostrare come l’acqua del fiume, all’apparenza limpida, in realtà sia contaminata da microplastiche proveniente dai tanti vestiti abbandonati per il paese, diventato ormai un cimitero dei capi inutilizzati.
Grazie alla traversata di Tetteh, è venuto a galla quanto i corsi africani siano minati dall’inquinamento dettato dal tessile. Gli abiti di seconda mano approdano in Ghana ormai in quantità enormi, per una media settimanale di 15 milioni di capi. Questi finiscono dritti ad Accrano, dove c’è un gigantesco mercato di secondo hand: degli indumenti che approdano qui, circa il 40% vengono scartati, diventando rifiuti e finendo per impattare in modo gigantesco il paese.
Una situazione allarmante che ha portato la giovane imprenditrice a scendere in campo, nella speranza di smuovere la collettività.
Per invertire la rotta riducendo una volta per tutte l’insostenibilità del comparto tessile, muovendosi verso una moda più responsabile, è necessaria un’azione congiunta dei governi mondiali che dovranno far virare le produzioni verso un approccio green, immettendo meno capi sul mercato, creandoli con alternative eco-friendly. Noi come consumatori dobbiamo, invece, impegnarci a comprare meno e meglio, affidandoci a soluzioni sostenibili.
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