I geologi supongono che possa essere l’inizio di un nuovo bacino oceanico. L’Africa si sta dividendo in due sezioni all’altezza del deserto etiope
Nel 2005 l’inizio del sospetto. Che gli studiosi hanno continuato a studiare incessantemente. Il continente africano potrebbe non essere più una continuità unica di terra. Nel deserto etiope era stata scoperta una faglia di recente origine. E questo potrebbe portare l’Africa a non essere più quella che si conosce tramite atlanti e mappamondi. Non è chiaro sapere quanto tempo sarà necessario, tuttavia potrebbe non essere molto. Ed all’interno della spaccatura, che dividerà in due il continente, si potrebbe creare un nuovo bacino oceanico.
All’origine della spaccatura dovrebbe esserci l’East African Rift System (EARS), la faglia che si trova nelle profondità del terreno dell’Africa orientale, coinvolgendo diversi stati, tra cui Etiopia, Kenya, Congo, Uganda, Ruanda, Burundi, Zambia, Tanzania, Malawi e Mozambico. Dal numero esteso di Paesi si comprende quanto questa faglia sia estesa. E se dalla profondità inizierà ad emergere rapidamente, come è stato nel 2005, la placca africana si sdoppierà in breve tempo, e le acque dell’oceano prenderanno il soravvento.
Ovviamente gli studiosi possono solo supporre le conseguenze di tale mutamento della zolla terrestre. Ciò che è certo è che gli habitat potranno mutare radicalmente, così come la biodiversità della flora e della fauna locale. Probabilmente compreso l’uomo. La separazione delle due placche è in corso da 25 milioni di anni, ed ora si iniziano a notare le conseguenze non solo nella profondità, ma anche sulla crosta terrestre. Ad accelerare la separazione ci potrebbero essere i vulcani attivi presenti lungo la faglia tra la Somalia ed il Sudan. La loro attività potrebbe accelerare quel processo di distacco delle zolle che lentamente è iniziato 25 milioni di anni fa, per concretizzarsi improvvisamente.
Questa teoria è figlia di uno studio che è stato svolto dalla co-autrice Cindy Ebinger, professoressa di scienze della terra e dell’ambiente all’Università di Rochester, ed è stato pubblicato sulla rivista scientifica Geophisical research Letters, esperta del settore. I prossimi risultati potranno dare maggiori informazioni sulle tempistiche.
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