Gli alieni sono appena atterrati, ma per una volta non hanno scelto una città americana e sono anzi arrivati magari in pieno centro a Roma: quali sono i protocolli che si dovrebbero seguire in questi casi? C’è qualcuno che li studia e che pensa a come comunicare con chi ci ascolta
Il fascino del cosmo e di ciò che potrebbe esserci là fuori oltre alla verità rimane intatto da millenni. I racconti con le creature che possono o meno venire da un altro pianeta accompagnano la letteratura prima ancora che essere diventati un vero e proprio genere cinematografico e poi televisivo.
Che siano loro a venire da noi o che siamo noi ad andare in cerca di loro, ci sono storie che raccontano in modi diversi anche quel fatidico momento del contratto. Da Ultimatum alla Terra a Mars Attack, da The Arrival a Incontri Ravvicinati del terzo Tipo o Cocoon il canovaccio del modo in cui il genere umano dovrebbe approcciare gli alieni più o meno lo abbiamo sotto gli occhi. Ma che cosa c’è di vero nella finzione?
Gli alieni sulla Terra, come potrebbe finire?
Immaginando che gli alieni siano arrivati e non abbiano intenzione di spazzarci via per occupare il nostro pianeta quello che molto probabilmente succederebbe sarebbe soprattutto simile ai casi in cui ci sono calamità da affrontare: civili via militari dentro. Perché, anche in caso di incontro palesemente pacifico, è sempre meglio che i civili non addestrati alle situazioni di forte stress rimangano a debita distanza mentre il personale addestrato ad affrontare situazioni in cui occorre prendere decisioni in una manciata di secondi possa lavorare.
Se l’incontro e l’arrivo degli alieni sulla Terra dovesse andare a buon fine ovviamente quello che si dovrebbe fare sarebbe cercare il supporto di tutti gli scienziati, non solo astrofisici, per cercare di dialogare con questi visitatori senza utarne la sensibilità. E probabilmente, un po’ come in The Arrival ci sarebbe da cercare di imparare la loro lingua o creare un modo per comunicare. A tal proposito sono estremamente interessanti le dichiarazioni di John Elliott, uno dei principali ricercatori del gruppo SETI. Secondo il professore Elliott, per cercare di comprendere i messaggi in arrivo dal cosmo, prima ancora di vedere gli eventuali alieni, dobbiamo studiare come comunicano gli animali e in particolare non quelli simili a noi ma i delfini. Elliott infatti ne definisce l’intelligenza e la complessità molto vicina a quella dell’Homo erectus e che risulta essere il doppio per esempio degli scimpanzè e degli altri primati.
Prima degli alieni veri e propri, cosa fare con i messaggi?
Sempre Elliott, in una intervista pubblicata sul Magazine dello Smithsonian Institute risponde alla domanda decisamente interessante: che cosa manderebbe nello spazio verso il cosmo più lontano se gli venisse chiesto di scrivere lui qualcosa. Secondo Elliot il primo messaggio dovrebbe essere qualcosa di molto facile tipo “ciao”, seguito poi dalla indicazione del proprio nome e solo dopo aver inviato alcuni rudimenti in grado di poter aiutare chi sta ascoltando dall’altra parte a comprendere il linguaggio umano, una enciclopedia con tutte le informazioni possibili. Finora tra quelli volontari si ricordano due messaggi mandati nello spazio: quello di Arecibo nel 1974 e il disco affidato al Voyager. Ma a questi messaggi volontari si aggiungono tutti quelli che vengono dai segnali radio e televisivi che in ogni secondo vengono inviati ben oltre la soglia della nostra atmosfera. Forse più che guardare ai blockbuster hollywoodiani dovremmo prendere appunti da qualche puntata dei Simpson, in cui gli alieni sono presenti da tempo.