Gli allevamenti intensivi sono una stortura della contemporaneità che deve essere eliminata. Ed in direzione opposta arriva il grattacielo dalla Cina
Ormai è piuttosto noto anche al grande pubblico che la questione degli allevamenti intensivi di bestiame – suini, ovini e bovini su tutti – da qualunque lato la si osservi fa acqua. Se si cerca di mettere una toppa da una parte ne verrà danneggiata un’altra. L’unico vantaggio è per l’interesse degli allevatori e delle multinazionali che stringono accordi commerciali tra i vari Paesi dell’Occidente. Dall’altro canto la foresta amazzonica – il polmone del mondo – viene costantemente disboscata per fare spazio agli allevamenti. Il consumo del cibo e la produzione dei bovini hanno un impatto sull’ambiente incredibile. E nonostante ciò la domanda di carne al livello mondiale continua ad essere in crescita.
E la domanda del mercato, in una società che ancora vuole apparire del benessere, non si può deludere. Dunque in assenza di spazi adeguati per l’allevamento in condizioni di crudeltà e malessere animale serve altro spazio dove stipare gli animali e riempirli di ormoni fino a farli crescere e macellare da cuccioli. E la soluzione arriva dalla Cina. Un grattacielo che contiene l’allevamento intensivo più grande al mondo. Un orrore che solo nella contemporaneità poteva essere progettato e realizzato.
La denuncia arriva da numerose associazioni ambientaliste – e non solo -, su tutte Greenpeace. Il grattacielo per allevamenti intensivi di fattura cinese è in grado di ospitare contemporaneamente 650mila animali, e l’obiettivo che si pone è di allevare e macellare un milione e 200mila suini al giorno. La prima attenzione che è stata posta a questo mostro della natura è stata per il rischio zoonosi che le pessime condizioni di vita degli animali può sviluppare. E di conseguenza un contagio che arriverebbe all’uomo, o la necessità di antibiotici in quantità copiose, che metterebbero ulteriormente a rischio la salute umana.
E per fortuna che c’è rischio per la salute umana, altrimenti la petizione per revocare questo mostro dell’allevamento non avrebbe tante firme. L’altro aspetto, quello a parere di chi scrive più grave, è che il malessere animale non conta davvero nulla nella scala degli interessi commerciali. E la diffusione su scala mondiale degli allevamenti intensivi ne è la prova.
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