Tra i dubbi e le perplessità degli scienziati c’è quello di assistere alla trasformazione dell’Amazzonia in una savana erbosa. Un pericolo enorme
L’Amazzonia è una regione tropicale del Sud America, coperta da una vasta foresta pluviale. È nota per la sua biodiversità unica e per essere un importante “polmone verde” del pianeta, poiché contribuisce in modo significativo al bilancio del carbonio globale. L’Amazzonia è anche una importante fonte di risorse naturali, tra cui legno, petrolio e gas, ma la sua deforestazione e la conversione per l’agricoltura e l’allevamento sono una preoccupazione ambientale a livello globale.
L’Amazzonia è in grave pericolo a causa della deforestazione e della conversione della terra per l’agricoltura e l’allevamento. Ciò è stato scientificamente dimostrato da anni, ma nonostante ciò non si è ancora fatto abbastanza per evitare una catastrofe. Recentemente, il New York Times ha sollevato nuovamente la questione se l’Amazzonia abbia raggiunto il suo “punto critico” e gli esperti hanno dichiarato che “queste stime sono sempre dipese da una serie di estrapolazioni”.
I ricercatori utilizzano i dati del satellite per monitorare i cambiamenti nell’Amazzonia, ma è difficile sapere quanto rappresentative siano le piccole aree di studio. L’Amazzonia è molto grande, con differenze regionali in termini di clima, vegetazione, disboscamento e agricoltura. Ciò rende complesso capire l’effetto delle attività umane sull’intera regione.
Luciana Vanni Gatti, una chimica dell’atmosfera presso l’Istituto Nazionale per la Ricerca Spaziale del Brasile (Inpe), ha sviluppato una metodologia per misurare la quantità di carbonio perso dalla foresta pluviale dell’Amazzonia e valutare la rappresentatività di questi risultati. Il suo progetto prevedeva di catturare aria da altezze elevate per ottenere un’immagine completa e empirica del carbonio presente nell’Amazzonia. La Gatti è riuscita a sviluppare sette metodi diversi per calcolare l’effetto dei venti e la composizione dell’aria sull’Oceano Atlantico, riuscendo a monitorare ciò che stava accadendo nell’80% della foresta pluviale dell’Amazzonia. Quando ha pubblicato i suoi risultati sulla rivista Nature nel 2021, ha causato preoccupazione a livello globale, poiché si temeva che la foresta stesse emettendo gas serra in quantità maggiori del previsto.
Il motivo per cui c’è preoccupazione è che gli alberi bruciati rilasciano un’alta percentuale di emissioni di monossido di carbonio, che Luciana Vanni Gatti è riuscita a separare dall’emissione totale. Tuttavia, i campioni d’aria raccolti nell’Amazzonia sud-orientale mostravano ancora emissioni elevate, suggerendo che l’ecosistema potrebbe rilasciare più carbonio di quanto ne assorba, in parte a causa della materia vegetale in decomposizione.
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Negli anni ’70, il ricercatore brasiliano Eneas Salati ha dimostrato che l’Amazzonia, con i suoi circa 400 miliardi di alberi, crea il proprio clima. Tuttavia, gli scienziati ora temono che questo clima sia in grave crisi a causa della deforestazione. Negli ultimi cinquant’anni, il 17% della foresta amazzonica, un’area più grande del Texas, è stata convertita in terreni coltivati o pascoli per il bestiame. La perdita di foresta significa una riduzione della pioggia riciclata, meno vapore per raffrescare l’aria e meno copertura per proteggere dalla luce solare. In condizioni più aride e calde, anche gli alberi più rigogliosi dell’Amazzonia perderanno foglie per risparmiare acqua, inibendo la fotosintesi, creando un circolo vizioso che è solo peggiorato dal riscaldamento globale.
In conclusione, gli scienziati sostengono che se la deforestazione continua, i fiumi si indeboliranno al punto da impedire alla foresta pluviale di sopravvivere in gran parte del bacino amazzonico e si trasformerà in una savana in pochi decenni. La perdita dell’Amazzonia, uno degli ecosistemi più ricchi di biodiversità del mondo, sarebbe devastante per le decine di migliaia di specie che vi abitano. Inoltre, l’aumento delle temperature potrebbe causare milioni di persone nella regione a diventare rifugiati climatici. Ciò che gli scienziati temono di più sono gli effetti a catena sul clima globale.
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