L’auto ibrida fotovoltaica, esplosa a Napoli il 23 giugno scorso, causando due vittime, era un prototipo di un progetto sperimentale e si indaga per capire i motivi del malfunzionamento che ha causato il triste evento.
La corsa alla transizione energetica per arrivare alla decarbonizzazione del Pianeta entro il 2050, coinvolge molti settori economici attraverso interventi e progetti che sperimentano nuove tecnologie innovative green. Le fonti rinnovabili, come eolico e fotovoltaico, sono le protagoniste assolute della produzione di energia pulita in ogni ambito. La progressiva riduzione delle emissioni di Co2 è fondamentale per raggiungere gli obbiettivi prefissati e l’abbandono dei combustibili fossili è all’ordine del giorno sui tavoli governativi. Le strategie e le politiche stanno convogliando ingenti investimenti sulla ricerca e sulla sperimentazione, per arrivare alla Carbon Neutrality e al Net-zero.
Uno dei settori più impegnato nella ricerca è quello della mobilità green che sta ottenendo ottimi risultati con l’implementazione dei veicoli elettrici ed ibridi per il futuro dei trasporti senza emissioni di gas serra nell’atmosfera. Automobili, bus e treni, persino gli aerei, si stanno dirigendo verso una nuova era a zero impatto ambientale. Una delle ultime soluzioni innovative e all’avanguardia vede la sperimentazione di auto elettriche ibride alimentate con pannelli fotovoltaici, che rappresentano al meglio la mobilità sostenibile. Purtroppo uno di questi esperimenti, svolto nei giorni scorsi , si è concluso con un’autentica tragedia, la morte dei due tecnici che stavano effettuando il test di guida di un nuovo prototipo ibrido.
L’incidente
Il 23 giugno scorso, due ricercatori del CNR, mentre stavano effettuando un test a bordo del prototipo di un’auto ibrida, sono periti a causa delle ustioni riportate nell’incendio, causato dall‘esplosione improvvisa del mezzo. Il progetto, sponsorizzato dall’Unione Europea, dell’Università di Salerno, in collaborazione con l’azienda eProInn, denominato Life-Save, testava la possibilità di abbinare un motore elettrico, con batterie alimentate da pannelli solari, a vetture dotate di propulsore termico. Qualcosa è andato storto e la Volkswagen Polo Tdi è esplosa senza lasciare scampo ai due scienziati a bordo. Maria Vittoria Prati, ingegnere del Cnr (66 anni) e Fulvio Filace (25 anni), ricercatore tirocinante, hanno perso la vita.
La tragedia si è consumata sulla tangenziale di Napoli, mentre si stava svolgendo un test sul motore ibrido che, dai primi accertamenti non risulta responsabile dell’esplosione. Più probabilmente la causa dell’incendio della vettura è da imputare alle bombole di gas presenti nell’abitacolo a supporto degli strumenti di misurazione dei consumi. I cosiddetti PEMS, Portable Emission Measurement System, sfruttano una fiamma, alimentata da miscele di gas, come elio e idrogeno, che va ad interagire con i gas di scarico, misurandone la presenza di idrocarburi incombusti.
L’indagine
L’indagine della Procura di Napoli è in corso, ma il sospetto che ad innescare l’esplosione siano stati proprio i PEMS è il più accreditato. Infatti le uniche sostanze a bordo in grado di innescare un’esplosione erano quelle contenute all’interno delle bombole in questione. Un ulteriore interrogativo riguarda il motivo per il quale un test potenzialmente pericoloso, come quello condotto in questo caso, sia stato realizzato su una strada ad alta percorrenza, come la tangenziale di Napoli. In questo ci viene in aiuto la normativa relativa a questo tipo di test, che prevedono misurazioni, che esplicita l’obbligo di eseguirli su strada “normale”, nel traffico in modo da ottenere risultati realistici rispetto al livello di emissioni prodotte.