Il mercato dell’avorio, nonostante la moda coloniale sia passata, è ancora vivo e vegeto. E vive nei tunnel del commercio sotterraneo
Il bracconaggio di specie in via di estinzione è un crimine in quasi tutti i Paesi del mondo. In passato si è assistito a vere e proprie criminalizzazioni anche delle persone che volevano difendere gli animali dai cacciatori che li avrebbero uccisi e mutilati solo per possedere le loro materie prime, tra cui l’avorio, prezioso minerale che elefanti, rinoceronti, ed in generale i cornati possiedono. Tuttavia anche i gorilla sono stati spesso mira dei bracconieri. Grazie al film “Gorilla nella nebbia” interpretato da Sigourney Weaver, in molti ricorderanno il caso di Dianne Fossey, studiosa di gorilla brutalmente uccisa con il machete dai bracconieri che volevano difendere il loro commercio a tutti i costi. Ed i bracconieri sono l’ultima maglia della catena. Spesso lavorano su commissione di ricchi uomini d’affari, che amano spendere il proprio denaro anche in maniera illegale.
L’avorio dell’elefante, oltre ad essere un materiale prezioso utilizzato a fini ornamentali, è anche nella società tribali o nella medicina alternativa un principio attivo per preparare misture curative. Anche per questo motivo, insieme alla deforestazione del loro ambiente naturale, gli elefanti, i mammiferi più grandi del mondo, rischiano l’estinzione. Il bracconaggio ogni anno causa la morte di circa 20.000 elefanti africani. Anche se la pratica dovrebbe essere fuuorilegge. Ad esempio in Kenya l’uccisione degli elefanti è illegale dal 1973, ma non lo è il commercio dell’avorio. Dunque due regole in contraddizione.
Tra il 2007 ed il 2016 circa 100.000 esemplari di elefante africano sono stati uccisi nel continente, ad opera dei bracconieri che ne volevano ricavare il prezioso materiale: l’avorio. Il governo del Burundi durante quegli anni ha tentato di bloccare le operazioni criminali confiscando le zanne ai bracconieri. Secondo le fonti dello Stato tutte le zanne di avorio confiscate in quel periodo, ed anche antecedentemente, sono finite in dei container protetti ove vengono messe al riparo dal commercio e conservate in buono stato. Infatti le analisi riferiscono un buon livello di conservazione dell’avorio.
Con un problema però. Uno studio recente, pubblicato su PNAS, ha rivelato tramite esami del DNA che alcune delle zanne etichettate come confisca del 2027-2017, in realtà risalgono ad oltre 30 anni fa. Questo significa che erano già state confiscate precedentemente, rimesse in circolazione sul mercato nero e poi sottratte nuovamente nelle più recenti operazioni. Il governo dalla sua parte dichiara che il container è al sicuro da eventuali furti. La teoria più accreditata è che le vecchie zanne siano state sostituite con delle nuove per mantenere l’apparenza, e reimmesse nel mercato nero.
Al di là del “giallo” che avvolge questa vicenda, è sconcertante apprendere che il mercato dell’avorio e l’uccisione di elefanti sia una pratica ancora in essere. Il fenomeno del bracconaggio, per quanto esteso, non è paragonabile alle forze pubbliche. Di conseguenza l’unica conclusione da trarre è che forse l’interesse per contrastare questo fenomeno non sia così spiccato, se non avallato con l’omertà.
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