Gli scienziati hanno scoperto la causa di morte di una mummia di donna ritrovata in Bolivia oltre un secolo fa: le cose per lei furono molto dolorose.
Alla fine dell’800, e per la precisione nell’agosto del 1897, alcuni esploratori ritrovarono la mummia di una donna in una grotta della Bolivia occidentale. Nel corso dei decenni sono stati effettuati numerosi studi sul ritrovamento: oggi sappiamo che il corpo, che è stato datato a 765 anni fa, apparteneva a una donna di età compresa tra i 25 e i 35 anni.
In seguito la mummia è stata conservata presso il Museo di Antropologia dell’Università Federico II di Napoli, dove gli scienziati hanno continuato a svolgere analisi su di essa. Una recente scoperta ha portato a conoscere la causa di morte della ragazza. In uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Latin American Antiquity, possiamo infatti scoprire come la donna sia morta e, purtroppo, si è trattato di un processo alquanto doloroso.
Tramite analisi radiografica, sulle ossa della mummia, e in particolare sul cranio e sulle vertebre, sono state infatti rinvenute numerose lesioni diffuse compatibili con una contaminazione da parte delle spore del fungo Coccidiodes, solitamente associato all’insorgenza della cosiddetta febbre della valle. Tale patologia è nota anche col nome di coccidioidomicosi (dal nome del fungo), non è contagiosa e affligge solitamente i soggetti abituati a lavorare a contatto con la terra.
Stando a quanto affermato dagli stessi autori dello studio, “l’inalazione di artrospore di Coccidioides provoca una malattia autolimitante, acuta, simile alla polmonite. Ma solo nell’1% – 5% di tutti i casi di coccidioidomicosi, la malattia può svilupparsi in una forma disseminata progressiva, cronica e spesso fatale“.
La ragazza boliviana, dunque, è stata particolarmente sfortunata per almeno due ragioni: innanzitutto la coccicioidomicosi non era mai stata trovata nella Bolivia occidentale, in secondo luogo si tratta di una patologia associata principalmente agli uomini, più dediti all’attività contadina o ai lavori all’aria aperta o nei campi. La scoperta degli scienziati, dunque, apre le porte a nuove interpretazioni riguardanti l’organizzazione della vita sociale nelle popolazioni sudamericane.
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