Trasformare la cenere e i capelli dei defunti in diamanti è possibile? Sembrerebbe di sì, ma il retroscena è piuttosto inquietante.
È una pratica piuttosto inusuale e scioccante agli occhi di tutti: trasformare le ossa e i resti del defunto in cenere per poi purificarla in modo da ottenere una polvere purissima di carbonio. Questa viene poi inserita a pressata all’interno di un macchinario che la scalda e la comprime a dismisura, con una forza inaudita.
Questo è il procedimento attraverso cui dalle polveri di carbonio si ottengono i diamanti in forma di cristallo. Il cristallo ottenuto viene pulito e levigato fino a crearne un vero e proprio gioiello. Tuttavia i diamanti sintetici non si ricavano da resti di defunti: quali sono quindi le differenze tra sintetici e naturali?
Partiamo col dire che i diamanti sintetici non sono gioielli falsi, sono fatti in laboratorio e ciò che si ottiene sono dei cristalli che provengono dalla polvere di carbonio. È formato quindi da atomi di carbonio uniti in legami covalenti in una struttura cubica. Un diamante falso invece è un altro minerale con una composizione chimica o struttura diversa, si somigliano soltanto nell’aspetto come lo zircone cubico.
Esistono due metodi per produrre diamanti sintetici: il primo metodo HPHT (High pressure – High temperature) cerca di replicare le temperature altissime che si trovano all’interno delle profondità della terra, così da fornire un contesto favorevole alla formazione dei diamanti.
Le temperature che si raggiungono in questi strumenti sono tra i 1000 e i 1500° e sono composti da incudini metalliche che spingono le une contro le altre, riuscendo a raggiungere condizioni estreme nel loro punto di contatto. E all’interno di queste incudini viene inserito un seme di cristallo che farà da base per la crescita del diamante vero. Assieme al seme, verrà messa anche una polvere di grafite che, sottoposta a grandi valori di pressione e temperatura, si trasformerà in diamante crescendo attorno al seme.
Per favorire la crescita, si utilizzano dei catalizzatori: ovvero degli elementi che accelerano la reazione chimica, permettendo la formazione del diamante. In questo primo metodo, vengono impiegati dei metalli come ferro, zinco e cobalto che saranno mescolati alla polvere di diamante iniziale. Proprio la presenza di questi elementi potrebbe essere il discrimine per riconoscere un diamante sintetico da uno naturale.
Il secondo metodo è la CBCD che utilizza un range di temperatura e pressione decisamente inferiore rispetto al primo. Per la temperatura siamo infatti intorno ai 700-1300°. Solitamente viene messo un diamante sintetico, ottenuto con l’HPHT, all’interno di un macchinario con del gas. Questo gas deve contenere carbonio, come del metano e l’idea è quella di rompere i legami del metano per far depositare i livelli di carbonio sul seme di diamante.
Ma come mai con temperature così basse si forma un diamante e non la grafite? La formazione di questo minerale è infatti impedita dalla presenza di idrogeno che viene pompato sottoforma di gas all’interno del macchinario.
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