Un nuovo studio sui cani sopravvissuti al disastro di Chernobyl potrebbe cambiare il mondo. Ma non mancano le polemiche
Cosa viene se si pensa al 26 aprile 1986? E’ una data – purtroppo – storica. Infatti in quel giorno di fine aprile si verificò peggiore incidente nucleare: l’esplosione del reattore della centrale nucleare di Chernobyl. Per contrastare gli effetti il governo sovietico ordinò una vasta evacuazione di persone entro un raggio di 2.600 chilometri. Inoltre, morirono numerosi animali, sia domestici che selvatici, tra cui una moltitudine di cani.
Tuttavia, alcuni di questi animali riuscirono a scappare e ora vivono liberamente nella zona, al riparo dall’interferenza umana poiché la popolazione è stata costretta ad abbandonare il luogo per sempre. Nonostante ciò, gli scienziati utilizzano ancora la zona di esclusione come campo di ricerca, visitandola periodicamente per valutare l’impatto ambientale di un disastro di tale portata. E su questi cani scappati c’è una novità…
Uno studio su ‘Science Advances’ afferma che i cani nella zona di esclusione di Chernobyl sono geneticamente diversi da altre popolazioni di cani nel mondo a causa dei livelli di radiazione presenti. Tuttavia, molti scienziati confutano questa teoria, sostenendo che manchino dati significativi per sostenerla e che la vita nella zona di esclusione fiorisca ancora. Inoltre, gli echi del passato della traccia di radiazione non sembrano riverberarsi sugli animali attuali.
Lo studio su cani randagi a Chernobyl, condotto da Gabriella Spatola, – che ha suscitato molte polemiche – ha identificato 15 strutture familiari uniche a livello genetico rispetto alle popolazioni mondiali, ma la teoria che le radiazioni siano la causa è stata criticata da alcuni scienziati, poiché la variabile non è stata misurata nello studio. Il team ha raccolto campioni di sangue di cani in tre diversi luoghi della zona di esclusione, ma gli scettici sostengono che le misurazioni parziali delle zone non sono state effettuate sui cani.
Eppure il ricercatore spagnolo, esperto di animali, Orizaola ha criticato lo studio di Gabriella Spatola e colleghi sui cani randagi di Chernobyl, poiché non è stata misurata la radioattività nei cani e le misurazioni ambientali non sono state eseguite in modo completo. Inoltre, è impossibile sapere se le radiazioni abbiano ucciso la maggior parte della fauna selvatica. Anche il professore di scienze ambientali James Smith ha criticato il fatto che lo studio non dimostri in modo chiaro una relazione causale tra la struttura della popolazione dei cani e la dose di radiazioni, come invece sostiene il comunicato stampa.
I ricercatori non negano la possibilità che le radiazioni abbiano avuto effetti sulla fauna e la flora, ma non ci sono dati per fare un confronto con il passato. Inoltre, attualmente i livelli di radiazioni sono molto più bassi rispetto all’epoca dell’incidente. Il team di Orizaola sottolinea che si ricevono meno radiazioni durante le loro visite nell’area rispetto a una mammografia.
L’emivita dell’isotopo più radioattivo rilasciato a Chernobyl, lo iodio-131, è di otto giorni, il che significa che pochi mesi dopo l’incidente si era quasi completamente dissolto. Mentre le radiazioni potrebbero avere un ruolo nei cambiamenti genetici, i livelli sono stati ridotti del 90% e ci sono altri fattori da considerare, come l’alimentazione dei cani, la loro mobilità e l’isolamento dei gruppi. Secondo Orizaola, alcuni gruppi attribuiscono troppo alla radioattività a Chernobyl, ma le prove raccolte finora indicano che non è l’unica causa dei cambiamenti osservati.
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