Le belle giornate sono spesso sinonimo di picnic, barbecue e pranzi all’aperto. Anche gli insetti approfittano di queste occasioni – favorite da un sole il cui splendore domina incontrastato tra i cieli – per svolazzare in cerca di cibo. Non si astengono da questa pratica neanche api e vespe.
Raramente ci si ferma a riflettere su come distinguere queste due specie, entrambe imenotteri, appartenenti però a famiglie diverse: l’una alle Apidae, l’altra alle Vespidae. Così simili (agli occhi dei poco esperti), così diverse (per coloro i quali le conoscono abbastanza): quando si parla di loro, solitamente, l’unico dato che emerge è la paura per le punture. Dopo aver letto il seguente articolo, questi animali non saranno più visti allo stesso modo.
Come non partire dall’aspetto esteriore per avere un quadro più chiaro che consenta di riconoscerle? Sembrano esattamente uguali per dimensioni e colori, in realtà le differenza sono notevoli: l’ape è più piccola (circa 1,5 cm quella operaia, massimo 2 quella regina) e tozza, dal torace “peloso” e marrone e dall’addome nero e giallo (a volte con tonalità che danno all’arancione); la vespa ha un corpo snello e liscio – la cui lunghezza può raggiungere fino ai 3 cm – ed è provvista di una silhouette diventata un must durante l’800: il “vitino di vespa”, espressione adoperata per definire una vita dal diametro molto contenuto, fu canone di bellezza dominante per il gentil sesso durante tutto il XIX secolo. L’addome è dai colori giallo e nero brillanti, il torace nero con qualche macchia gialla. A differenza dell’ape possiede le mandibole.
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Il pungiglione della vespa è pronunciato e liscio: può entrare e uscire senza alcun problema sulla superficie in cui penetra; quello dell’ape, invece, è costituito da piccoli “uncini” ed è collegato all’apparato digerente dell’insetto (per questo, dopo aver punto, muore: il pungiglione resta ancorato alla pelle e la perdita della parte terminale dell’apparato digerente è fatale).
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Tra le vespe, solo le femmine sono provviste di quest’organo appuntito: oltre che configurarsi come un condotto, in comunicazione con un sacco velenifero usato per iniettare veleno nella preda, esso ha una funzione riproduttiva: deporre le uova delle future larve all’interno della preda.
Nel veleno vi sono sostanze tossiche: dopo una puntura la vittima manifesta dolore immediato, arrossamento, gonfiore, bruciore intenso e prurito. Nei soggetti suscettibili, una puntura di vespa può comportare un’estesa reazione infiammatoria cutanea: un rigonfiamento di oltre 10 cm di diametro, nonché nausea, vomito e difficoltà a deglutire. Nei casi più gravi si sviluppa uno shock anafilattico.
Il veleno dell’ape è più pericoloso. Occorre adottare particolari precauzioni per rimuovere il pungiglione in modo da non diffondere il sacco velenoso.
Osservare il loro comportamento – e persino la loro dieta – può permettere di conoscere ulteriori elementi distintivi. La vespa si “autoinvita” più volentieri ai picnic e alle tavole imbandite. Oltre che spiccatamente aggressiva (può pungere più volte), è infatti onnivora (in particolare è attratta dalla carne e dal pesce, alimenti con le quali nutre le proprie larve).
L’ape, invece, si ciba di nettare e polline che raccoglie dai fiori. Durante i pasti consumati all’aperto, è quindi raro essere disturbati da questo insetto. Può essere attratta da bevande dolci (bibite, succhi di frutta, sciroppi, ecc…). Non è “feroce” e quindi è naturalmente meno incline a pungere della vespa: tale gesto si configura come ultima risorsa (una letterale extrema ratio: dopo aver punto infatti, come già sottolineato, muore).
La funzione dell’ape è impollinare le colture: favorisce quindi un indispensabile processo per la riproduzione delle piante che è alla base della sopravvivenza di molte specie (uomo compreso). In breve, hanno una funzione fondamentale per la vita sul Pianeta. La vespa ha natura predatoria: il suo nutrirsi di piccoli insetti risulta utile per l’equilibrio degli ecosistemi.
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