Molte aree del Pianeta sono interessate da vicino dal problema della deforestazione. Sfruttamento delle foreste per l’utilizzo del legname, espansione agricola e allevamento di bestiame ma anche estrazione mineraria e sovrappopolazione. Le cause della deforestazione sono molteplici e tutte concorrono a rendere il problema sempre più preoccupante. Negli ultimi 30 anni la superficie forestale mondiale si è ridotta di oltre 420 milioni di ettari e dal 2010 la Terra perde in media 4,7 milioni di ettari all’anno.
In particolar modo, a farne le spese sono spesso le zone più ricche di biodiversità, come le foreste pluviali e tropicali. Lunedì, durante la giornata di apertura della COP26 di Glasgow, oltre 100 leader mondiali hanno sottoscritto un accordo in cui si dicono pronti a fermare la deforestazione nei loro Paesi entro il 2030.
“Questo è il più grande passo avanti nella protezione delle foreste del mondo da una generazione”, afferma con entusiasmo la presidenza britannica della conferenza. Un accordo importante se si considera che i Paesi firmatari ospitano l’85% delle foreste mondiali. A sottoscrivere l’impegno, tra gli altri, ci sono Brasile, Russia, Indonesia e Repubblica Democratica del Congo, i paesi che ospitano le più grandi foreste del mondo, ma anche grandi potenze economiche come Stati Uniti e Cina. Tra i firmatari c’è anche l’Italia dove, in controtendenza rispetto a quanto avviene altrove, negli ultimi anni si è registrato un aumento spontaneo della superficie forestale a causa dell’abbandono di aree agricole collinari e montane.
Oggi la principale causa di deforestazione è rappresentata da coltivazioni e allevamenti intensivi. Pertanto, l’obiettivo è quello di incentivare pratiche più sostenibili per l’agricoltura e per il sostentamento di quelle popolazioni la cui sopravvivenza è strettamente legata alle foreste. L’accordo prevede una serie di interventi e i governi di 28 Paesi si sono resi disponibili a impedire il ricorso alla deforestazione da parte delle pratiche agricole e commerciali che contribuiscono maggiormente al fenomeno, come la produzione di olio di palma, soia e cacao.
Sarà necessario un investimento importante anche dal punto di vista strettamente economico e i Paesi firmatari si dichiarano pronti a investire 12 miliardi di dollari per promuovere politiche che fermino la deforestazione, a cui si andranno ad aggiungere anche fondi provenienti da società private per un totale di quasi 20 miliardi. Grazie a questi finanziamenti, sarà istituito un fondo da 1,5 miliardi di dollari per proteggere la seconda foresta pluviale tropicale più grande del mondo, nel bacino del Congo, e 1,7 miliardi saranno destinati alle popolazioni indigene.
Sebbene l’accordo abbia ricevuto elogi, portando con sé una ventata di ottimismo, è altrettanto verso che è stato accompagnato da una buona dose di giustificato scetticismo. Sono molti gli attivisti che ritengono che l’accordo sia sostanzialmente insufficiente, trattandosi di una promessa e non di un documento vincolante. Infatti, in caso di violazioni da parte degli Stati firmatari non sono previste conseguenze.
Già in passato erano stati presi degli impegni per fermare la deforestazione e soltanto quattro anni fa, nel 2017, i governi avevano ratificato l’impegno di fermare la deforestazione entro il 2030, con obiettivi praticamente identici a quelli contenuti nell’accordo di lunedì. Impegni che anche all’epoca non prevedevano sanzioni e che alla luce dei fatti sono stati disattesi, con la deforestazione in aumento in molti Paesi.
In Brasile, tanto per citare un esempio emblematico, la deforestazione della foresta amazzonica ha subito una brusca accelerazione toccando livelli mai raggiunti negli ultimi 12 anni e il presidente Jair Bolsonaro è stato denunciato per ben due volte alla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità proprio per le sue politiche ambientali. Nel 2019, anno in cui è stato eletto presidente Bolsonaro, sono andati distrutti 9.178 chilometri quadrati di foresta amazzonica nel solo territorio brasiliano, a cui se ne sono aggiunti altri 8.426 l’anno successivo. Dati che non lasciano molto spazio all’ottimismo.
Secondo quanto si legge nella dichiarazione, fermare la deforestazione “è essenziale per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi, tra cui ridurre la vulnerabilità agli impatti dei cambiamenti climatici e mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2°C e proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5°C“.
Il cambiamento climatico e le foreste sono strettamente connessi e gli effetti della deforestazione sono devastanti. Infatti, oltre a ospitare la maggior parte della biodiversità terrestre, le foreste trattengono ed assorbono la CO2, ricoprendo un ruolo determinante nel mitigare gli effetti del riscaldamento globale. In questo senso, la deforestazione è tra le principali cause dell’aumento di anidride carbonica in atmosfera, aggravando l’effetto serra e il surriscaldamento globale.
A conferma di questo, e a dimostrazione del fatto che sono necessari interventi concreti, uno studio pubblicato a luglio di quest’anno sulla rivista Nature ha dimostrato che, a causa della deforestazione che ha interessato la foresta tropicale più grande del mondo, alcune parti dell’Amazzonia hanno cominciato a emettere più anidride carbonica di quanta riescono ad assorbirne.
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