Al via la Cop26, la 26esima Conferenza Onu sul cambiamento climatico: ospitata a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre e organizzata dal Regno Unito in partenariato con l’Italia, incorpora anche la 16ª Conferenza delle Parti del Protocollo di Kyoto (CMP16) e la 3ª Conferenza delle Parti dell’Accordo di Parigi (CMA3).
Proprio in base all’Accordo di Parigi, tutte le parti sono tenute a svolgere ogni cinque anni una verifica degli impegni sottoscritti nel 2015 e, secondo un “meccanismo al rialzo” ogni Paese è tenuto a presentare contributi migliorati, determinati a livello nazionale ogni cinque anni, per rendere più efficace la lotta ai cambiamenti climatici. In questo senso, la Cop26 sarà il primo banco di prova per gli Stati che hanno sottoscritto gli accordi di Parigi.
Il processo di avvicinamento alla Cop26 è stato lungo e non privo di ostacoli. Inizialmente prevista dal 9 al 20 novembre 2020, la Conferenza è stata rinviata a causa della pandemia di Covid-19 ed è stata preceduta, nel mese scorso, dalla Pre-Cop, un incontro preparatorio che riunisce i ministri dell’Ambiente di un gruppo selezionato di Paesi per discutere di alcuni aspetti politici fondamentali dei negoziati e approfondire alcuni dei temi negoziali chiave che saranno affrontati durante la Cop.
Il summit preparatorio, che quest’anno si è tenuto a Milano, si è chiuso con l’intenzione, espressa dal presidente della Cop26 Alok Sharma e condivisa dai 50 ministri dell’Ambiente presenti, “di fare di più per mantenere il riscaldamento sotto 1,5 gradi, aumentare gli impegni degli Stati per la decarbonizzazione (gli Ndc), garantire il fondo per il clima da 100 miliardi di dollari ai Paesi in via di sviluppo e andare avanti con il libro delle regole (Rulebook) sull’Accordo di Parigi”.
La strada da seguire è chiara, gli impegni devono essere concreti e il processo di transizione dovrà tenere conto di molti fattori. “La scienza ci dice che, per mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5°C dai livelli pre-industriali, al 2030 dovremmo ridurre del 45% le emissioni di gas serra rispetto al 2010. Ma con gli Ndc attuali avremmo invece un aumento del 16% delle emissioni al 2030. Il nostro obiettivo è ridurre le emissioni di carbonio, ma la transizione deve essere equa. I lavoratori del settore delle fossili devono avere sostegno e trovare nuovi posti di lavoro. I Paesi del G7 hanno garantito l’abbandono del carbone entro il 2030. Per gli altri Paesi, l’obiettivo potrebbe essere al 2040. Oggi il 70% delle economie mondiali ha target di neutralità climatica. Fino a qualche anno fa era solo il 30%”, ha dichiarato Sharma a margine della Pre-Cop.
Nonostante i buoni propositi manifestati, le premesse non sono così incoraggianti. L’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, ha già mandato un messaggio allarmante ai governi nel suo recente rapporto speciale “Riscaldamento globale di 1,5 °C”, presentato l’8 ottobre 2018. Non c’è più tempo da perdere e c’è bisogno di agire. Il rispetto degli impegni presi da qui al 2030 sarà cruciale per raggiungere gli obiettivi.
A complicare le cose, neanche a dirlo, ci ha pensato la crisi pandemica, che ha amplificato ulteriormente la divisione tra Paesi poveri e ricchi. Gli Stati industrializzati non hanno rispettato l’impegno, sottoscritto nel 2009, di garantire ai Paesi più poveri un aiuto economico di 100 miliardi di dollari l’anno per ridurre le loro emissioni e per applicare strategie di adattamento ai cambiamenti climatici e la pandemia non ha fatto altro che aggravare la situazione.
Inoltre, il tentativo di alcuni Paesi di indebolire il report dell’Ipcc sui cambiamenti climatici in vista della Cop26, rivelato da un’inchiesta realizzata dal team di giornalismo investigativo di Greenpeace Uk, dimostra come la volontà di rispettare gli impegni presi non sia così diffusa come dovrebbe essere. Uno scenario come questo può avere forti ripercussioni sui negoziati e il rischio di assistere a un fallimento è quanto mai concreto.
Gli obiettivi principali della conferenza sono piuttosto chiari: azzerare le emissioni nette a livello globale entro il 2050 attraverso un processo di progressiva riduzione delle emissioni che ogni Stato deve aggiornare ogni cinque anni per raggiungere la neutralità carbonica; incoraggiare i Paesi più colpiti dai cambiamenti climatici a preservare e ripristinare gli ecosistemi in pericolo garantendo loro un supporto concreto; convincere i Paesi industrializzati a rispettare l’impegno di mobilitare 100 milioni di dollari l’anno verso i Paesi più poveri per garantire adeguati mezzi economici nella lotta ai cambiamenti climatici.
La Cop26 avrà anche l’arduo compito di convincere i 197 partecipanti ad assumere impegni sempre più stringenti per mantenere l’innalzamento della temperatura entro la soglia degli 1,5°C. “Quanto fatto a Parigi nel 2015 è stato brillante ma si trattava di un accordo quadro e i dettagli sono stati lasciati al futuro” ha spiegato Sharma in una recente intervista del Guardian. “Ora è come essere alla fine del foglio d’esame: sono rimaste le domande più complicate, manca mezz’ora alla fine e ti chiedi come farai a rispondere”.
L’impegno deve essere e condiviso e a ribadirlo ci ha pensato anche Ursula von der Leyen. “Abbiamo bisogno di leadership, l’Europa è il primo continente sulla strada per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Vogliamo dire al mondo che si può crescere economicamente e ridurre le emissioni”, ha dichiarato la presidente della Commissione europea.
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