Gli squilibri climatici che interessano il nostro pianeta porteranno a veri e propri fenomeni migratori di quelle popolazioni viventi nei paesi maggiormente colpiti dal cambiamento climatico. Per il 2050 l’International Displacemente Monitoring stima che si assisterà ad un intensificazione del fenomeno migratorio preoccupante. I numeri parlano di circa 22,7 milioni di persone l’anno che potrebbero arrivare a 200 milioni entro il 2050.
Fattori politici ed economici si aggiungeranno a quelli climatici portando la figura del rifugiato politico ad essere sempre più protagonista della contemporaneità. Siamo pronti ad accogliere un fenomeno simile? Probabilmente no e le nazioni disposte ad accogliere persone in difficoltà sono sempre meno, qualunque sia la motivazione delle migrazioni. Le zone più calde e desertiche del globo si attesteranno su temperature pari ai 29 C° entro il 2070.
Ad oggi le zone del globo interessate da simili temperature rappresentano lo 0,8 % della superficie totale. Già la scorsa estate in territori come India e Pakistan i termometri hanno registrato delle temperature vertiginose, superiori ai 40 C°, e non ci si aspetta di certo che la situazione migliori. Zone come il Sahara, calde e desertiche diventeranno invivibili. 1/5 della superficie terrestre potrebbe non consentire la possibilità di approvvigionamento di cibo e acqua, essenziali alla vita.
Va da sé che diretta conseguenza di simile situazione sarà l’esodo di massa di quelle popolazioni costrette, non per voglia o per diletto, a cambiar casa verso zone più favorevoli alla vita. L’allarme lo lancia anche la rivista PNAS dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti che parla di una progressiva impossibilità di esercitare attività agricole o pratiche di allevamento. Ma come definire quindi i cosiddetti rifugiati climatici?
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