Sull’onda dei trend diffusi dai film horror, in molti hanno tentato la coraggiosa impresa di fissare a lungo lo specchio durante la notte per scoprire l’effetto che fa. Ebbene, non saranno rimasti contenti: il nostro cervello gioca brutti scherzi…
Non si tratta di paranoie. E la colpa è solo relativamente attribuibile ai film horror che popolano Netflix. La verità è che se durante la notte fissiamo troppo a lungo lo specchio, il nostro cervello ha una reazione inaspettata e decisamente da brividi.
Si chiama “dissolvenza periferica“, anche conosciuta come “effetto Troxler“. Molti registi ci hanno giocato su per realizzare le loro opere di suspence, ma è tutto vero. E’ un fenomeno per cui il cervello inizia a farti vedere cose che non vorresti realmente vedere…
Guardare a lungo lo specchio di notte: in pochi possono farlo…
Fissare a lungo lo specchio, anche inconsapevolmente, avvia l’esperienza dell’effetto Troxler, che non è nient’altro che un‘illusione ottica (piuttosto inquietante). Fa paura, se non si è pronti ad affrontarla, ecco perché in molti la definiscono come il metodo per vedere “i mostri allo specchio“.
Gli strumenti necessari per dare inizio a questa fase sono due e li abbiamo tutti, in un modo o nell’altro: uno specchio e una luce spenta. La luminosità della stanza deve essere debole: nel caso delle lampadine, non devono superare i 25W di potenza (livello molto simile a quello delle abat-jour da comodino). Lo scopo è di mandare in confusione il cervello, che non riesce a distinguere nitidamente i contorni del proprio viso riflesso.
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La luce deve provenire da circa un metro e mezzo dietro le spalle, mentre davanti si ha lo specchio ad una distanza di più o meno 40 centimetri. Una volta sistemata la “scena del film horror”, bisognerà rivolgersi allo specchio restando immobili, cominciando a fissarsi. Il segreto è rilassarsi riuscendo ad estraniarsi dalla situazione, in modo che il cervello si dissocia. Basteranno circa due minuti prima che la figura non risulti essere più riconoscibile: appare alterata o, addirittura, compaiono volti di persone defunte.
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L’effetto Troxler è stato dimostrato dal dott. Giovanni Caputo, che ha attribuito una spiegazione scientifica all’esperienza che si vive. Il nostro cervello, quando ci si fissa su un unico punto, arriva a confondere tutti gli altri, adattandoli in forme che razionalmente appaiono come visioni, soprattutto dei volti e tratti familiari. Lo stesso fenomeno è conosciuto anche come Pareidolia. Gli studi del medico sono stati pubblicati e sono interamente consultabili in forma gratuita: ne emerge anche che i soggetti che soffrono di depressione potrebbero non riuscire a vivere l’esperienza dell’effetto Troxler perché le emozioni vengono spente dalla depressione stessa.