Le indagini sui crimini in alto mare denunciano una situazione inquietante, dove i fuorilegge la fanno da padroni. Ma la svolta ecologica a protezione degli oceani non sempre è la via giusta
La Terra è chiamata il Pianeta blu perché è ricoperta per due terzi dall’acqua. Un gigantesco spazio vitale, ricco di ecosistemi unici continuamente minacciati dall’uomo. Le attività illegali che si consumano negli oceani sono innumerevoli, difficilmente perseguibili poiché avvengono spesso al di fuori dei radar civili. Vere e proprie organizzazione criminali che agiscono indisturbate in alto mare, senza scrupoli, perpetrando le più inenarrabili azioni a scopo di lucro, che vanno a ledere irrimediabilmente la vita marina.
Pesca illegale, contrabbando di frutti di mare proibiti, trasporto di legname, avorio ed ogni genere di merce non autorizzata. Flotte intere di pescherecci che agiscono, spesso indisturbati, forti della vastità della frontiera in cui operano le loro attività criminali. Governano le acque internazionali, prive di legislazione, quelli che si potrebbero definire i moderni pirati che rapinano i commercianti del mare. Senza contare i trafficanti di esseri umani, di droga e coloro che si occupano di sversamento illegale di sostanze tossiche in mare aperto.
Tutte le varie attività legate al mare, illegali e non, hanno prodotto un progressivo esaurimento degli stock ittici in molte aree del mondo, dove la pesca era il principale sostentamento per milioni di persone. La situazione ha portato alcuni paesi a investire nell’allevamento ittico che presuppone una gran quantità di mangime per pesci. Se l’acquacoltura è considerata un’attività sostenibile, non si tiene conto di ciò che comporta la produzione di farina di pesce. Infatti, combattere il depauperamento degli oceani, attraverso un più ecologico allevamento degli stessi, alimenta il settore del foraggio dell’acquacoltura con danni inimmaginabili al sistema ittico.
Se un quarto dei pesci che popolano i mari viene ridotto in farina per allevare, salmoni norvegesi, trote polacche e anguille cinesi, l’esaurimento degli stock ittici non rallenta, ma al contrario subisce un’accelerazione. Inoltre va contro il principio della pesca responsabile alla base della lotta all’impoverimento degli oceani. In pratica viene completamente ribaltato il concetto che prevedeva di utilizzare solo pesci non destinati al consumo umano, mentre i grandi produttori depredano, senza i dovuti distinguo, le acque già agonizzanti.
Insomma la cura è peggio della malattia, se per contrastare l’esaurimento degli stock ittici, il settore dell’acquacoltura depreda a sua volta gli oceani dei cosiddetti pesci foraggio, compromettendo le catene alimentari degli ecosistemi marini. Si rischia una seria destabilizzazione dei fondali a seguito della massiccia produzione di farine ed oli di pesce, con la conseguente perdita di equilibrio nell’intero sistema mare. Mentre la priorità è pescare meno e meglio, migliorando la gestione delle risorse della pesca.
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