Gli italiani sono tra i maggiori fruitori al mondo di acque minerali, con un consumo procapite che supera i 150 litri l’anno: centinaia di tonnellate di bottiglie di plastica e un volume d’affari annuo che, secondo un articolo del 2007 di Repubblica, si aggira intorno ai 2 miliardi di Euro. Cifre da capogiro che escono ogni anno dalle tasche dei consumatori. Per non parlare dell’inquinamento prodotto dai tir che trasportano su strada centinaia di migliaia di bottiglie nei vari punti vendita della nostra Penisola. L’acqua in bottiglia è davvero migliore rispetto a quella del rubinetto? In realtà, come dimostrato in un’indagine condotta nel 2006 da Altroconsumo, l’acqua veicolata attraverso gli acquedotti pubblici della maggior parte dei comuni italiani è assolutamente buona, sicura e sottoposta a severi controlli dal punto di vista chimico-biologico.
Quello che stona al palato è il suo sapore, che non è propriamente piacevole. Tuttavia è sufficiente lasciarla riposare per qualche minuto in una brocca affinché il gusto possa assestarsi e risultare gradevole quanto quello di una minerale in bottiglia. Ma se l’acqua del rubinetto pur essendo potabile è proprio “indigesta”, come in molte località di mare, si può ricorrere al trattamento domestico con sistemi chimici quali i carboni attivi, le resine a scambio ionico o l’osmosi inversa. Quest’ultimo tipo di trattamento oltre a bloccare cariche batteriche eventualmente presenti ed elementi di una certa dimensione, è in grado di eliminare sostanze particolarmente tossiche come metalli pesanti, pesticidi, diversi idrocarburi tra i quali il benzene, nitrati e fosfati. I costi di questi depuratori, che variano da poche centinaia a qualche migliaio di Euro, vengono ammortizzati nel giro di pochi mesi, rispetto al continuo salasso dell’acqua minerale (una famiglia media può arrivare a consumare fino a 1.000 bottiglie all’anno). C’è un solo accorgimento fondamentale da seguire nel tempo: la manutenzione.