Dissalare l’acqua di mare potrebbe essere una soluzione alla siccità. Quali sono le tecniche per mettere in opera il procedimento
Non è la prima volta che se ne parla. Ora l’emergenza idrica ha fatto tornare il tema caldo. L’OMS stima che entro il 2025, in assenza di interventi risolutivi, il 50 per cento della popolazione mondiale vivrà in condizioni di stress idrico. Con tutte le conseguenze annesse. Per questo molti Paesi stanno ragionando sulla desalinizzazione dell’acqua marina. Gli oceani coprono ancora il 97 per cento dell’acqua presente sul pianeta, e sotrarne una parte per dissetare la popolazione potrebbe essere una soluzione interessante. Solo che dagli studi non emerge ancora l’impatto che questa sottrazione, con tutti gli interventi industriali collegati, potrebbe avere sulla fauna e flora marittima.
Per il momento la priorità sembra essere la sopravvivenza della specie umana. Il 2025 è molto vicino, ed immaginare solamente una scarsità della risorsa idrica talmente estesa da investire la metà della popolazione mondiale è uno scenario raccapricciante. La carenza di acqua non ha come conseguenza solo un eventuale razionamento della risorsa. Anche l’agricoltura, e dunque la disponibilità di cibo, potrebbero essere messi a repentaglio. Urgono soluzioni immediate.
Desalinizzazione dell’acqua di mare, le tecniche
La prima tecnica è piuttosto comune e molto antica: la distillazione. Il procedimento è semplice, e può essere fatto in qualunque laboratorio. Si porta l’acqua ad ebollizione fino a trasformarla in vapore acqueo. Con il passaggio dallo stato liquido a quello gassoso, i sali contenuti cadono. Il vapore acqueo poi passa verso un canale di raffreddamento che lo trasforma nuovamente in liquido, nettato da qualunque sale. L’acqua distillata è certamente un procedimento semplice e praticabile. Tuttavia in questo modo il liquido non perde solo il sale marino, ma anche altre sostanze necessarie di cui l’acqua potabile è composta.
L’altra tecnica è l’osmosi inversa, e senza dubbio richiede strumentazioni più sofisticate. È la modalità al momento più utilizzata per dissalare l’acqua. Si fa passare il liquido ad alta pressione attraverso un amembrana semipermeabile, con maglie talmente piccole da separare l’acqua dal sale. Al livello industriale l’acqua viene prelevata dal mare e su di esso viene applicato un primo trattamento che rimuove le impurità più grossolane come alghe, 0li, plastiche e varie sostanze organiche. Poi il passaggio ad alta pressione attraverso la membrana che separa le molecole di acqua dal sale. Infine l’acqua viene rimineralizzata attraverso un procedimento industriale.
Senza dubbio questo trattamento è più efficace della distillazione. Tuttavia i procedimenti più complessi potrebbero portare ad un costo notevole dell’acqua. Ed anche questo creerebbe una cesura tra le risorse disponibili nei vari Paesi a basso o alto reddito. Una problematica legata all’osmosi inversa, è lo smaltimento della salamoia, prodotto di scarto del processo di desalinizzazione dell’acqua. Questo potrebbe portare ad un accumulo di metalli pesanti ed altri materiali con impatto ambientale negativo.
Diversi studi hanno dimostrato che si possono costruire gli impianti in prossimità di oceani o risorse marine, dove ricollocare la salamoia. Ma il rischio del circolo vizioso è dietro l’angolo. Per risolvere un problema se ne potrebbe creare un altro. Per il momento i principali utilizzatori di acqua dissalata al mondo sono i Paesi mediorientali come Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Quatar e Bahrain, ma anche gli USA ne fanno ampio uso, specialmente in California e Florida.
Anche in Italia ci sono ipotesi di soluzioni di questo tipo, ma caldeggiate con maggiore prudenza proprio per i rischi associati all’impatto ambientale. La legge Salvamare del 2022 comtempla questo tipo di soluzione solo in caso di comprovata assenza della risorsa idrica.