La vicenda risale ai suoi inizi del 7 aprile, quando dall’Ucraina è arrivata nel porto di Ravenna una nave contenente 26.059 tonnellate di mais. Quest’ultimo viene immagazzinato nei silos e poi viene distribuito a varie aziende che si occupano di ottenere dei mangimi, trasformandolo in farina e mischiandolo ad altri ingredienti. In diversi allevamenti arriva questo mangime contaminato, destinato a mucche da latte, bovini, polli e maiali. Addirittura una parte di questo mais è finito anche in preparati alimentari per animali domestici, cibi che vengono venduti al supermercato per i nostri amici a quattro zampe. I primi controlli non si rivelano efficaci. Soltanto l’11 giugno a Piacenza, in seguito ad un accertamento sanitario, si è scoperto che il mais è contaminato dalla diossina. Si è riscontrato che i valori rintracciati in questi prodotti trasformati sono troppo alti rispetto ai limiti consentiti dalla legge. Per questo motivo viene inviata anche una notifica al sistema di allerta europeo e la notizia si diffonde immediatamente.
Ci si trova di fronte ad una vera e propria allerta. Inizialmente il Ministero della Salute ha diffuso un comunicato stampa piuttosto generico: si spiega che sono state attivate delle procedure per rintracciare il mais alla diossina, in modo che il carico venga bloccato. Viene detto che lo scopo è anche quello di intercettare tutti gli allevamenti, che avrebbero usufruito di questo mais non in regola. La situazione, comunque, sembra essere sfuggita di mano e il rischio interessa 12 regioni: Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Trentino, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Lazio, Umbria, Marche, Calabria e Sicilia. 5.000 tonnellate di mais non in regola, che sono rimaste nei silos, sono state sequestrate. Il problema è che la diossina è una sostanza cancerogena, che danneggia gli animali, perché si accumula nel loro grasso, e può finire nel latte, nelle uova e nelle carni che vengono commercializzate.
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