Quando era venuto alla luce il caso delle uova alla diossina a Terni, c’erano state delle risposte ed era stato deciso di distruggere quegli allevamenti “imputati”. Già allora c’erano state delle polemiche sul fatto che le istituzioni non avessero adottato delle modalità comunicative efficaci, per informare nei dettagli i cittadini. Adesso le associazioni che si occupano della sicurezza alimentare hanno accusato la Asl 2 di avere omesso di fare presente alla cittadinanza che c’erano altri 6 campioni di uova, che superavano il livello di contaminazione. In totale, quindi, ci sarebbero stati 10 campioni che andavano oltre la soglia di sicurezza stabilita dall’Unione Europea. In ambito scientifico si calcola che il tasso medio di diossina nelle uova dovrebbe essere compreso tra 0,2 e 0,4 pg/gr. Nel caso di Terni questo livello era stato superato in varie situazioni. Nessuno però avrebbe cercato di avvertire del pericolo e la vicenda sarebbe stata minimizzata.
Dai dati che emergono attualmente viene fuori la conferma di una contaminazione molto più ampia, per la quale sarebbe servito un intervento molto più massiccio da parte della Regione Umbria. Il monitoraggio compiuto dalle associazioni è avvenuto nel 2013 e ha preso in considerazione 22 campioni di uova provenienti da allevamenti rurali. Allora si era cercato di gettare acqua sul fuoco e si erano cercate responsabilità anche a carico degli allevatori. Per esempio, si era raccomandato di non bruciare plastiche accanto agli allevamenti. Gli ambientalisti sono sul piede di guerra, perché ritengono ingiustificato il fatto di non aver preso tutte le misure di sicurezza che la situazione comportava. Ci si chiede adesso quali saranno le prossime mosse, per risolvere un problema che sembra assumere dimensioni sempre più grandi.
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