Per il momento sono state accertate le responsabilità civili che hanno provocato il disastro di Brumadinho nel 2019. Si attendono le incriminazioni penali.
Anche questa volta si rischia che la strage di 272 persone accertate, più 22 dispersi, cada nell’oblio. E che non venga fatta giustizia. Quando la parte civile sono i familiari delle vittime di un paesino brasiliano è facile che la vicenda venga insabbiata o che gli iter burocratici portino alle lunghe l’accertamento delle responsabilità. Che in sede civile hanno portato ad un risarcimento, ma senza l’identificazione certa di colpevoli. Cosa che invece la società pretende. Almeno quella brasiliana.
Quando si parla di disastri ambientali non ci riferisce a terremoti o uragani. Quelle sono ascritte come calamità naturali o disastri naturali. I disastri ambientali si riferiscono all’operazione dell’uomo che provoca delle conseguenze devastanti sulla natura e sull’umanità. Neanche un disastro aereo provoca mediamente tante vittime. Che sono state presto dimenticate, al punto che l’anno successivo l”incidente’, un gruppo di familiari delle vittime ha attraversato l’oceano per andare a protestare direttamente a Monaco di Baviera, dove ha sede l’azienda certificatrice della sicurezza – che aveva stabilito che la diga che era crollata era assolutamente sicura -. Ma facciamo un passo indietro.
È considerato il più grande disastro ambientale che abbia coinvolto il territorio brasiliano. Come poteva essere intuibile, a generare la completa sparizione del paese di Brumadinho è stata l’attività antropica, nello specifico quella mineraria, che già in passato è stata accusata di crimini ambientali. L’estrazione del ferro, nei pressi della città di Córrego do Feijão, nel Brumadinho ha causato la rottura di una diga. In pochi secondi, 12 milioni di metri cubi di fango e di detriti hanno invaso la città, radendola completamente al suolo.
Inoltre sono stati rilevate anche pesanti conseguenze sull’equilibrio ambientale. Diversi corsi dei fiumi della zona sono stati deviati, e lo tsunami ha provocato la morte di numerosissime specie animali e vegetali. 272 le vittime umane accertate, e oltre 22 persone scomparse, di cui i familiari non avranno neanche una tomba su cui piangere. Ed ora chiedono giustizia. I responsabili inquisiti, ma non ancora condannati per omicidio colposo, a quattro anni e mezzo dal disastro, sono stati i dirigenti della ditta mineraria, le cui attività estrattive hanno causato con le sollecitazioni il crollo della diga, e l’azienda Consultoria Ltda, succursale della tedesca Tüv Süd.
La ricerca della verità su fatti tanto gravosi è sempre difficile, in questi casi ancora di più. Specialmente perché viene coinvolta una giustizia trasversale, dal Brasile alla Germania. Il gruppo Vale, che gestiva il sito su cui l’attività mineraria in corso, ha risarcito con 7 milioni di dollari i parenti delle vittime. Ma un paese intero è stato cancellato dalla faccia della terra. Delle simulazioni effettuate durante le indagini hanno stabilito che le sollecitazioni delle attività estrattive hanno provocato la frammentazione della sabbia nella diga e poi il suo crollo. La società Vale da parte sua ha dichiarato che i fattori che hanno portato al disastro sono stati concomitanti. Non sono ancora chiare le imputazioni a carico della società di certificazione tedesca, né tantomeno la lista degli indagati.
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