La discarica di Malagrotta continua a far parlare di sé. E’ stato arrestato Manlio Cerroni, a capo del consorzio Colari, che è il gestore della discarica stessa. L’imprenditore di 86 anni è stato posto agli arresti domiciliari. L’accusa per lui è quella di associazione a delinquere, finalizzata al traffico di rifiuti. Cerroni è stato arrestato a Roma, insieme ad altre 6 persone: Bruno Landi, ex presidente della Regione Lazio, Luca Fegatelli, che è stato capo della direzione regionale energia fino al 2010, Francesco Rando, manager, Piero Giovi, imprenditore, Raniero De Filippis e Pino Sicignano. Per tutti vale la stessa accusa rivolta nei confronti di Cerroni.
Cerroni è riuscito a costruire una rete di società, le quali, secondo le stime, riuscirebbero a fatturare quasi 1 miliardo di euro all’anno. Nelle altre società avrebbero un ruolo di preminenza le figlie dell’imprenditore e alcuni suoi uomini di fiducia. Il suo impero è cresciuto tantissimo ed è arrivato al trattamento dei rifiuti non solo nel Lazio e a Roma, ma anche a Brescia e a Perugia, spingendosi anche all’estero: Albania, Romania, Francia, Norvegia, Brasile e Australia. Le indagini della magistratura avrebbero messo in evidenza una serie di operazioni illecite, come l’inquinamento delle falde acquifere, i lavori senza autorizzazione a Monti dell’Ortaccio. Inoltre è stato sequestrato un gassificatore che sarebbe stato messo in funzione per mezzo di un’autocertificazione irregolare. Da molti Cerroni è stato descritto come “il re dei rifiuti”, anche se il suo business ultimamente comincia ad essere in declino in seguito a tutte le vicende sospette che sono venute allo scoperto.
Qualche tempo fa l’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini è intervenuto sulla discarica di Malagrotta. Una questione che sta suscitando già parecchie discussioni. Era comparso un cartello, affisso dal proprietario Manlio Cerroni, che indicava l’inizio dei lavori per la realizzazione di una zona per l’assembramento dei rifiuti presso i Monti dell’Ortaccio. Clini aveva spiegato che alla base c’era probabilmente un vero e proprio equivoco, anche perché non sarebbe stata più valida l’autorizzazione rilasciata il 27 dicembre del 2012. Nel frattempo, infatti, era finito il commissariamento, che permetteva una deroga dalle norme. Quindi il tutto sarebbe stato da rifare e sul luogo sono stati mandati i carabinieri del Noe.
Si aveva a che fare con uno specifico decreto, che puntava all’operatività in altri termini, concentrandosi sul recupero prioritario di materia e di energia per mezzo della raccolta differenziata e dell’utilizzo degli impianti presenti nel Lazio, secondo anche ciò che stabiliscono le direttive dell’Unione Europea. Il programma non prevedeva la messa a punto di una discarica e l’Europa si era già espressa negativamente, con delle critiche da non sottovalutare. Questo atteggiamento avrebbe potuto essere soggetto anche a delle sanzioni. Gli stessi Enti locali, la Regione, la Provincia e il Comune di Roma avrebbero dovuto far sentire la loro presenza, per effettuare le opportune verifiche relative alla messa in sicurezza del territorio, specialmente dal punto di vista idrogeologico, visto che si parlava di certe criticità che non possono essere ignorate, senza mettere in pericolo la sostenibilità ambientale e l’opportunità di agire in modo oculato.
In effetti la vicenda impone una certa attenzione: differenti polemiche si sono susseguite e non sono mancate le proteste da parte degli attivisti ambientalisti, i quali hanno fatto sentire la loro voce. Da sempre si è insistito sull’impatto che la realizzazione di un’opera del genere potrebbe avere sulla vivibilità e sulla salute della popolazione. Il problema della gestione della spazzatura nella regione si è configurato in molte fasi come un’emergenza da risolvere tempestivamente, aprendosi a nuove prospettive e non al tradizionale smaltimento, che, tra l’altro, non prevede alcun trattamento preventivo dell’immondizia.
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