L’Italia si prepara a mettere definitivamente al bando la carne coltivata. Ma diverse realtà si stanno facendo sentire contro questo divieto. Quali sono le loro motivazioni?
Una delle cause principali dell’inquinamento sono gli allevamenti intensivi che, oltre alle famose emissioni di metano delle mucche, consumano moltissime risorse in termini di acqua e suolo e in più sono spesso luoghi al limite dell’orrore per gli animali che hanno la sfortuna di trovarcisi. Una delle nuove frontiere della scienza sta cercando quindi da tempo di creare delle alternative alla carne prodotta dalla sofferenza animale. La cosiddetta carne coltivata.
Ma nel nostro Paese qualche giorno fa è stato votato un disegno di legge che vieta la produzione di questa tipologia di carne. E la votazione ha portato diverse associazioni, tra cui Essere Animali e Greenpeace nonché WWF e la Lega Antivivisezione ad argomentare sul perché questo divieto sia sbagliato per diversi motivi. Motivi che da una parte spingono sul benessere degli animali e sull’altro sulla crisi climatica cui gli allevamenti intensivi stanno contribuendo.
A preoccuparsi del fatto che se passasse un divieto assoluto di trattare il tema della carne coltivata in Italia si fermerebbe la ricerca é soprattutto il WWF. Isabella Pratesi, direttore conservazione WWF sottolinea come anche l’OMS, la FAO e le Nazioni Unite abbiano indicato quello della carne coltivata come un settore su cui è “necessario investire” senza utilizzare “la tutela del made in Italy” come pretesto.
Perché in effetti chi invece è a favore del divieto parla proprio di un pericolo per il legame culturale del cibo con le persone. Un’altra questione è quella poi legata proprio al sistema degli allevamenti intensivi contro cui si scaglia Greenpeace. L’associazione ambientalista ha risposto con un tweet che sottolinea nuovamente l’impatto che gli allevamenti intensivi hanno sugli animali, sulle foreste e in generale sugli ecosistemi.
Coloro i quali si dicono contrari alla carne coltivata lo fanno anche sottolineando che la produzione di carne coltivata rischia di avere un impatto ambientale maggiore in termini di risorse e quindi di emissioni di gas serra. E in effetti uno studio del 2019 dell’università di Oxford metteva in guardia dal fatto che la carne coltivata potrebbe rilasciare nell’ambiente più gas serra dell’allevamento tradizionale ma si tratta di una simulazione che prende in considerazione la produzione di energia tradizionale, da fonti fossili. Unendo quindi la transizione ecologica e l’abbandono sempre più massiccio delle fonti fossili con l’abbandono degli allevamenti intensivi si potrebbero ridurre le emissioni di gas serra e insieme evitare ulteriori sofferenze agli animali. E alcuni Paesi nel mondo, per esempio il Qatar, stanno proprio investendo in maniera massiccia nella tecnologia necessaria alla produzione di carne coltivata. Vale poi la pena sottolineare come gli stessi esperti che ora si stanno occupando di lavorare alla produzione di carne coltivata in laboratorio sono i primi a ricordare come l’introduzione sul mercato della carne coltivata non porterà ad una sparizione repentina e totale dei piccoli allevamenti.
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