Una società di biotecnologia vuole riportare in vita il dodo, un uccello estinto da secoli e la cui storia si intreccia con la leggenda.
Chi ha letto “Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis Carroll sicuramente ricorderà che nel romanzo per ragazzi si parla di uno strano uccello, il dodo: non è l’unica opera di narrativa popolare in cui questo animale compare e in generale ormai nel linguaggio comune “fare la fine del dodo” sta a significare diventare obsoleti, estinti e più comunemente qualcosa che ormai fa parte del passato. Questo perché quest’uccello non è frutto della fantasia di un narratore, ma è un pennuto ormai estinto, che era incapace di volare e proveniva dalle Mauritius.
Il suo nome scientifico è Raphus cucullatus e la sua peculiarità era appunto quella di non sapere volare: apparteneva a una sottoclasse di uccelli della cui specie principale facevano parte tortore e colombi e ha un parente molto stretto tra i pennuti, sebbene appunto lui si sia estinto. Infatti, abbastanza simile per caratteristiche al dodo è il colombo delle Nicobare. Si tratta di un particolare importante e di seguito capirete perché.
Uno scheletro e una ricostruzione di questo uccello sono conservati nel museo di storia naturale dell’Università di Oxford, ma chiaramente la storia di questo animale si incrocia con le tante leggende esistenti sul suo conto. Secondo diversi scienziati, si tratta infatti di un uccello che dovrebbe essersi estinto oltre 400 anni fa e a parte le poche documentazioni sul suo conto, di lui si parla quasi esclusivamente nella narrativa di consumo che si è diffusa nei secoli, “Alice nel Paese delle meraviglie” in testa.
Per primi, parlarono di questo uccelli alcuni marinai olandesi negli ultimi anni del XVI secolo, ma gli avvistamenti durarono poco: pescatori e specie invasive contribuirono in pochi decenni alla sua estinzione. L’ultima notizia certa di un avvistamento di dodo risale infatti al 1662, mentre a lungo si pensò che questo animale fosse solo una leggenda costruita ad arte da alcuni marinai. Fino appunto ad arrivare alle ricerche su alcuni scheletri, appena quattro, importati in Europa e studiati soltanto nel XIX secolo.
Oggi possiamo affermare con certezza che quell’uccello che non sapeva volare è realmente esistito e non è solo frutto della fantasia popolare, ma non solo: grazie agli studi sul dodo, si è tornati anche a discutere di animali estinti dei quali probabilmente l’uomo non ha conoscenza, ma anche di animali che si credevano estinti e che di recente sono tornati a essere avvistati, tra questi il cosiddetto “drago senza orecchie”, simile a una lucertola e che vive in Australia, ma anche – sempre nel continente oceanico – il bettong dalla coda a spazzola. Quest’ultimo, per chiarirci, è un parente dei più comuni marsupiali.
Ma il dodo, negli ultimi tempi, sta facendo discutere anche per il progetto che sta portando avanti una società di biotecnologia, la Colossal Biosciences, fondata nel 2021 e che per questa sfida ha già ricevuto 150 milioni di dollari. La società, i cui fondatori sono il genetista dell’Università di Harvard George Church e l’imprenditore esperto di biotech Ben Lamm, sta lavorando alla cosiddetta de-estinzione del dodo, ma anche di altre specie delle quali da secoli si sono perse le tracce, come il mammuth lanoso e la tigre della Tasmania.
La Colossal Biosciences, a quanto pare, vorrebbe riportare in vita il dodo – che potrebbe davvero essere il primo animale realmente de-estinto, secondo quanto affermano i guru della società – sequenziando il DNA del colombo delle Nicobare, modificandolo e inserendolo nelle uova di questo uccello. In sostanza, il dodo “originale” non tornerà mai tra noi, ma semplicemente ne avremo uno “nuovo”, creato in laboratorio appunto intervenendo sul DNA del suo più diretto discendente ancora in vita. Le domande su che fine possa fare il nuovo dodo in un mondo del quale non sa nulla sono quelle che anche un comune mortale oggi si pone.
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