Vivere in un ambiente salubre e rispettoso dell’ecosistema, grazie a un modello sostenibile di utilizzo delle risorse immune dallo spreco, è possibile? Sì, con l’economia circolare. Si tratta di una logica di business che dice addio al consumo esponenziale di materie prime che sta depauperando la Terra. I risultati si quantificano in una riduzione dell’inquinamento su scala mondiale.
Non solo: la diminuzione delle disuguaglianze, inevitabili invece nel modello di economia lineare, combatte la povertà. Merito della scomparsa degli sprechi, associata a risorse più disponibili per tutti. E gli sbocchi occupazionali davvero non mancano. Corepla, il distretto tessile di Prato, Milano, Barcellona, il gruppo Renault Nissan e molti altri ci hanno creduto: vediamo i risultati.
Cos’è l’economia circolare: quali sono i benefici e gli indicatori?
Dietro alla definizione di economia circolare, si trova un nuovo modo di concepire i cicli produttivi alla base dell’economia. In sostanza, questo modello prevede l’auto-sostentamento della produzione tramite il riutilizzo delle materie prime e dei componenti già utilizzati e giunti al termine del loro ciclo di vita.
Questo riduce enormemente l’immissione, nel ciclo, di nuove risorse prelevate dall’ambiente e non più reintegrabili. Nell’economia circolare tutto è riutilizzabile: i materiali biologici, che diventano fonte di energia e nutrimento, e i materiali tecnici, che rinascono come costituenti di nuove produzioni, senza diventare rifiuti inquinanti.
Tutto ciò è possibile grazie a diverse strategie che lavorano di concerto. Vediamole una per una.
ECODESIGN: qualunque articolo realizzato nasce già predisposto al riciclo, con componenti destinate a lunga vita, facilmente smontabili e riutilizzabili. I materiali devono essere il più possibile atossici e richiedere, per la loro produzione, la quantità minima di risorse energetiche possibile. L’usura di un singolo componente non deve comportare la sostituzione del prodotto, ma soltanto il ricambio del singolo pezzo. Il packaging infine va ripensato in chiave minimal, riducendolo al minimo.
UTILIZZO DI ENERGIE RINNOVABILI: l’economia circolare si propone come fine di ridurre l’inquinamento. Questo passa anche dall’utilizzo di fonti energetiche sostenibili e a ridotto o nullo impatto ambientale. Energia solare, eolica, geotermica, così come quella ricavata da sostanze organiche e dai rifiuti, devono prendere il posto dei combustibili fossili.
CONDIVISIONE: quasi tutto quello che possediamo risulta inutilizzato per la gran parte del tempo. Ad iniziare dall’auto, parcheggiata davanti al posto di lavoro, a casa o in altri luoghi. Il car sharing riduce il consumo di carburante, ottimizzando l’uso dei veicoli. In compenso aumenta la nostra disponibilità finanziaria perché si risparmia sulla benzina e sull’usura veicolo, dilatando i tempi di cambio pneumatici e altre componenti.
Il concetto di condivisione nell’economia circolare si amplia ben oltre il car sharing. Attrezzature da lavoro, articoli per hobbistica, persino gli utensili da cucina possono essere condivisi. Di nuovo, a ringraziare sono ambiente e tasche.
SERVIZI INVECE DI PRODOTTI: un tempo c’erano le video cassette e poi i dvd. Oggi ci sono i download e le piattaforme on streaming. Questi permettono di bypassare la creazione di copie fisiche di un bene, riducendo la necessità di materie prime per realizzarle. È solo un esempio di come si possa ridurre l’inquinamento senza rinunciare a godere dei prodotti che desideriamo.
MATERIE PRIME SECONDARIE: l’utilizzo di materie prime vergini deve calare grazie all’implementazione di filiere di recupero efficienti, in grado di sostituirle senza degradare la qualità dei prodotti finiti. Sostanze plastiche, tessuti, pneumatici, carta, possono dare vita ad articoli tradizionali, oppure a varianti innovative, in grado di soddisfare le aspettative dei consumatori. Come gli aspetti visti sopra, anche questo è in parte già realtà.
Sul lungo termine, i benefici dell’economia circolare sono davvero notevoli. Il riutilizzo delle risorse risolve alla radice svariati problemi. Il consumo del territorio per creare discariche, per esempio. L’inquinamento che origina dalla produzione/trasporto/abbandono delle materie prime vergini. Per quanto, precisiamo, sia oggi impossibile evitare un certo grado di impatto ambientale anche con il riciclo, la differenza è consistente.
Un altro vantaggio è che il prezzo dei prodotti finali può mantenersi più basso. Motivo? Riutilizzare materie prime secondarie è più economico e quindi incide con un costo minore sul prodotto finale. In un’ottica che evita la produzione di materiali tossici e le fasi produttive inquinanti, infine, molte malattie professionali potrebbero essere eliminate.
Un capitolo a parte riguarda l’implicazione dell’economia circolare sul tasso di occupazione. Il progresso, sempre, modifica l’assetto delle figure professionali e la distribuzione dei posti di lavoro. In parole povere, si riduce l’offerta da una parte e si compensa con un incremento nei nuovi settori. Per esempio, avremo meno petroliere sui mari e meno distributori di carburante, ma ci saranno più lavoratori impiegati nella produzione di pannelli solari, materiali per la bioedilizia, impianti di compostaggio, recupero di componenti al termine del loro ciclo di vita, logistica, creatori e gestori di piattaforme per la distribuzione online di servizi, informatici del settore domotica, etc.
Dato saliente, le aziende sarebbero impegnate in prima linea nel chiudere il ciclo produttivo, raccogliendo e riutilizzando per conto proprio le materie prime dei propri prodotti dismessi, e anche questo si tradurrebbe in nuovi posti di lavoro.
Una ricerca commissionata dalla Ellen McArthur Foundation ha rivelato un dato interessante. Il passaggio all’economia circolare in Europa potrebbe portare a un aumento del PIL del 7% in poco più di dieci anni. (Per chi non lo sapesse, ricordiamo che la Ellen McArthur Foundation è la potente fondazione americana impegnata in prima linea nello sforzo di imporre il modello di green economy).
Economia circolare: esempi e progetti italiani
L’imprenditoria italiana ha risposto all’appello dell’economia circolare con entusiasmo e creatività. Sono nate start up e aziende per l’ambiente che oggi sono realtà consolidate. Poi ci sono i consorzi, alcuni dei quali guardati con rispetto persino all’estero. E che dire delle città di Milano e del distretto tessile di Prato?
Per quanto riguarda il settore tessile, da ricordare è l’esempio della Colombo Industrie Tessili, azienda in provincia di Como che ha recentemente rinnovato il suo impegno verso la sostenibilità e l’economia circolare grazie al sodalizio green con il designer Tiziano Guardini e la creazione di Progetto 62. La filosofia alla base del progetto è appunto caratterizzata dal recupero e dalla valorizzazione di materiali preesistenti.
Liberare il mondo dai pannoloni usati: questa la mission in ambito di sostenibilità ambientale di Fater Spa. L’azienda, leader nel settore dell’igiene, recupera i materiali degli assorbenti usati, plastica, polimeri poliassorbenti e cellulosa, che sono poi convertiti a svariati usi. Dai tappi per bottiglie, ai banchi scolastici e alle carte assorbenti fino alle barriere mobili anti-esondazione, un nobile destino per materiali altrimenti destinati solamente a inquinare.
Ecopneus è il consorzio senza fini di lucro che ha come obiettivo riciclare i materiali degli pneumatici fuori uso, o PFU. Per dare idea dell’importanza del problema, si pensi che in Italia sono 350.000 tonnellate da smaltire ogni anno. Riciclarli e riutilizzarli significa trasformare i materiali di base in granuli per pavimentare fondi stradali, campi di calcio, etc. oppure in sigillanti, adesivi, vernici, e molto altro. Quello che non può essere riconvertito produce energia: i PFU infatti hanno un alto potere calorico. Un esempio del lavoro di Ecopneus? La liberazione dell’area invasa da 37.000 tonnellate di PFU nel comune di Castelletto di Branduzzo, nel pavese. Per riuscirci sono stati erogati dal consorzio 5 milioni di euro.
Il consorzio Corepla ricicla plastiche di ogni genere. L’efficienza dei suoi impianti e del sistema di raccolta capillare sul territorio lo rendono un’eccellenza riconosciuta a livello mondiale. Nel 2016 la raccolta nazionale è stata di 961.000 tonnellate di sostanze plastiche. Di queste, 550.000 sono state riciclate e 304.000 utilizzate per produrre energia. Solo il 2,7% di sostanze estranee è finito in discarica. Il risparmio energetico si è aggirato sui 9.700 GWh complessivi. Numeri così alti sono per buona parte merito dei detettori ottici di Corepla. Si tratta di rilevatori in grado di distinguere le diverse plastiche, ad esempio polietilene, polipropilene, poliuterano, PET. Il riconoscimento permette di trattarle in gruppi omogenei, in modo da riciclarle/riutilizzarle correttamente.
Il distretto tessile di Prato ha un’antica tradizione in materia di riciclo. Nella “patria del tessile” italiano quella di recuperare tessuti e filati usati è un’attività in uso da decenni. Oggi Prato è una delle tre città italiane che fanno parte di un progetto di rilevanza nazionale. Si tratterrà di tentare una full immersion urbana nell’economia circolare, dal riciclo e uso di fonti energetiche rinnovabili, alla condivisione, all’applicazione integrale dell’ecodesign. Il progetto si avvale della collaborazione del ministero dell’Ambiente e coinvolge anche le città di Milano e Bari.
Milano, dal canto suo, è in prima linea con varie iniziative di car sharing, raccolta differenziata – è una delle città con migliore percentuale di raccolta in Europa- e riciclo, fra le quali spiccano gli ottimi risultati ottenuti con il depuratore di Nosedo: 400 milioni di litri giornalieri di acqua fognaria trattati e reimmessi in circolo purificati. Il depuratore è stato premiato dalla comunità europea come esempio di best practice di sostenibilità.
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I progetti e gli esempi europei di economia circolare
A livello europeo fra gli esempi più virtuosi troviamo il gruppo Renault Nissan. Il settore automotive è uno dei più interessati dal problema dei componenti inquinanti, basti pensare alle batterie. Il colosso franco-nipponico ha aperto uno stabilimento a Choisy-le-Roy – periferia francese – in cui le componenti ancora utilizzabili vengono riprogrammate, testate e infine messe in vendita con garanzia annuale, a circa la metà del prezzo delle componenti nuove. Filantropia? No. Esempio che l’economia circolare funziona: lo stabilimento genera un fatturato annuale di 250 milioni di euro.
Nel settore moda, H&M mostra un interesse per la sostenibilità ambientale dal 2013. Per questo in ogni punto vendita si attua una raccolta di indumenti e tessuti dismessi di qualunque genere. Abiti, tovaglie, asciugamani, calze bucate, tutto viene accettato. Per invogliare i clienti a questo comportamento virtuoso, H&M li ricompensa con buoni spendibili su acquisti successivi da un certo ammontare in su. Gli indumenti raccolti sono rimessi in vendita a prezzi molto bassi, se in buone condizioni, altrimenti vengono avviati a un processo di recupero delle fibre tessili.
Barcellona, quartiere di Poblenou. Fino a poco tempo fa non era che un piccolo rione sull’orlo della decadenza. Oggi è rinato a fulgida esistenza a merito di Fab City. Si tratta di un prototipo di applicazione urbana globale di economia circolare. Tecnologia e riciclo uguale autosufficienza e innovazione: questo è l’obiettivo da raggiungere con la partecipazione della collettività. Al momento, i risultati paiono promettere benissimo. A Poblenou prosperano centri di ricerca dove si sperimenta come ottimizzare il recupero e il riuso, botteghe artigiane e un mood che parla di un futuro sostenibile già presente.