Ricavare minerali prelevandoli direttamente dagli asteroidi suona futuristico, ma se invece l’estrazione di minerali avvenisse negli oceani?
Quanto pesa sulla salute del nostro pianeta l’attività dell’uomo? Non è un segreto che l’ambiente risenta della nostra presenza: lo sfruttamento di risorse, la produzione di rifiuti e l’immissione di gas serra nell’atmosfera, nonché l’inquinamento da noi causato, ci stanno portando lentamente verso il collasso climatico. In questo senso una delle attività che pesano di più in termini energetici è sicuramente quella mineraria.
Si stima infatti che ben il 6,2% dell’energia prodotta a livello globale alimenti i processi di estrazione mineraria, oltre a ciò l’impatto di questa attività sull’ambiente comporta danni alla biodiversità, al suolo, alle riserve d’acqua dolce che stanno lentamente diminuendo. Pensiamo ad esempio alle miniere di litio: esse consumano enormi quantità di acqua, anche in posti flagellati dalla siccità come la valle della miseria in Brasile.
Con risorse limitate a nostra disposizione, dunque, sono moltissime le aziende e gli enti governativi che stanno cercando modi alternativi per mettere le mani sui preziosi minerali che la Terra ci offre. Una delle ipotesi più particolari e futuristiche è sicuramente quella dell’asteroid mining. Con questa dicitura si fa riferimento all’estrazione di minerali direttamente dagli asteroidi, presenti in gran quantità non solo nel Sistema Solare, ma anche nell’orbita terrestre.
Ad oggi l’asteroid mining è ancora soltanto un’ipotesi, più che una pratica realistica. Al contrario, quella del deep sea mining, che punta all’estrazione di minerali provenienti dagli asteroidi sprofondati negli oceani, ha avuto applicazioni pratiche già nel 2017 e nel 2020. Sebbene più a portata di mano rispetto agli asteroidi spaziali, quelli oceanici comportano comunque enormi costi da un punto di vista logistico.
Recuperare asteroidi a profondità comprese tra i 200 e i 6.500 metri di profondità, come mappato dall’International Seabed Authority, ha enormi costi economici e comporta difficoltà logistiche altrettanto grandi. Ciononostante, a tentare l’impresa titanica ci ha pensato l’azienda giapponese Jogmec: con la nave Hakurei i nipponici sono riusciti a estrarre 649 chili di fondale ricco di nichel. Eppure dei dubbi permangono: quale potrebbe essere l’impatto ambientale di una simile attività? Come il deep sea mining andrebbe a influire sulla salute dei fondali oceanici?
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