Uno dei capitoli più disastrosi della storia umana ritorna a far parlare di sé: lo scorso 24 agosto è iniziato a Fukushima il rilascio in mare dell’acqua contaminata.
Nel marzo del 2011, il mondo assistette al disastro nucleare di Fukushima, causato da un terremoto e uno tsunami devastanti che colpirono principalmente la centrale nucleare di Fukushima Daiichi in Giappone. L’emergenza di Fukushima fu classificata al livello massimo della scala INES (International Nuclear and Radiological Event Scale) che misura appunto la gravità degli incidenti nucleari.
Noostante la situazione fu gestita con grande impegno dalle autorità giapponesi, l’incidente ha avuto indubbiamente conseguenze a lungo termine, sia in termini di impatto ambientale che di salute pubblica, e ha sollevato questioni cruciali sulla sicurezza e la gestione delle centrali nucleari. La bonifica dei reattori ha visto una conclusione lo scorso 24 agosto, quando le acque utilizzate per raffreddare i reattori sono state rilasciate in mare risollevando nuove polemiche, soprattutto in merito alla composizione di questa “acqua radioattiva”.
Subito dopo l’incidente, la città fu messa in evacuazione, i reattori furono raffreddati per limitare le radiazioni e l’esposizione dell’uomo a queste. Nonostante questo, la gestione dell’incidente e la successiva pulizia e bonifica dell’area sono state oggetto di numerose polemiche data la loro complessità. Uno sforzo che è durato numerosi anni fino ad arrivare ad oggi, settimana in cui è stata definitivamente rilasciata l’acqua utilizzata per raffreddare i reattori. Acqua contaminata che è stata riversata nuovamente in mare per permettere lo smantellamento dei reattori danneggiati. Grazie ad un condotto sottomarino, gli oltre 1,34 milioni di acqua contaminata verranno immessi in mare ad un kilometro dalla costa.
Queste acque, prima di essere rilasciate, sono state trattate con un sistema di filtraggio chimico avanzato chiamato ALPS, che ha lo scopo di rimuovere i radionuclidi, tranne il trizio, un isotopo dell’idrogeno difficile da trattenere. Le acque trattate vengono diluite con acqua di mare per ridurre la concentrazione di trizio e successivamente rilasciate nell’oceano. Gli esperti e l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) sostengono che il processo di trattamento e diluizione riduce significativamente i rischi. Tuttavia, organizzazioni come Greenpeace e alcuni paesi, come la Cina, hanno espresso dubbi sulla validità di questo approccio. Alcuni temono infatti che isotopi radioattivi possano ancora essere presenti, portando enormi rischi per la salute umana e di tutto l’ecosistema marino del Pacifico.
Il Pacifico accoglie una varietà di specie ed ecosistemi fragili ed importantissimi per il pianeta. Questo delicato equilibrio potrebbe essere deturpato dall’immissione di acqua potenzialmente radioattiva. Stiamo parlando di una enorme quantità di acqua contaminata da sostanze pericolose che a lungo termine potranno portare problemi all’ecosistema marino e non solo. Quest’acqua potrebbe anche inquinare le falde acquifere e comportare delle mutazioni nei pesci oceanici che ogni giorno vengono pescati e che arrivano sulle tavole di tutto il mondo. Un problema dalle mille sfaccettature e che riporta nuovamente l’attenzione sul nucleare e sulla sua pericolosità. Questo rilascio di acqua dovrà essere monitorato accuratamente per evitare ripercussioni future su scala globale.
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