Solo il 22% della quantità di plastica consumata dal Giappone viene riciclata. La cultura nipponica per il monouso non fa bene al Pianeta
L’inquinamento degli oceani da rifiuti di plastica è nelle mani di cinque paesi, la maggior parte dei quali è di origine del sud est asiatico. Ed il Giappone non è da meno. La sua culturale e maniacale cura per i dettagli, compreso l’impacchettamento, si traduce in imballaggi eccessivi presenti sui banchi dei supermercati. Con la conseguenza di un utilizzo non necessario di plastica.
Nonostante il Giappone produca solo il 3% della plastica a livello mondiale, ne è consumatore copioso, secondo al mondo soltanto dopo gli Stati Uniti. E questo grazie a snack, cibi già pronti, frutta, verdura, bevande, tutti confezionati nella plastica. Senza dover modificare la cultura giapponese dell’abbellimento fin dei piccoli dettagli, si potrebbe sostituire semplicemente il materiale con cui questi imballaggi vengono composti. Ad esempio passare dalla plastica a fibre più naturali.
Il riciclaggio della plastica in Giappone
Nonostante il Giappone sia all’avanguardia sotto questo aspetto, soltanto il 22% della plastica consumata viene riciclata. Dunque tutta la rimanenza finisce negli oceani, o viene bruciata, con una conseguente produzione di anidride carbonica ed altre sostanze tossiche che si liberano nell’aria, di cui tutto l’ecosistema paga le conseguenze. Come ha riportato la BBC nel 2021, la produzione di bottiglie di plastica in Giappone è arrivata a 23,2 miliardi l’anno. Nel 2004 erano 14 miliardi. L’eccessivo utilizzo di imballaggi, non soltanto di bottiglie di plastica, comporta una mole di plastica in più da riciclare. Ed il cosiddetto riciclaggio termico, dunque la combustione della plastica, non è certo una soluzione ambientalista.
L’inquinamento degli oceani
Dalle statistiche emerge che solo nel 2019 l’Asia ha prodotto il 54% della quantità di plastica a livello mondiale. I paesi maggiormente coinvolti sono Cina e Giappone. Questi materiali non riciclabili finiscono negli oceani interamente, oppure sotto forma di microplastiche non biodegradabili, che vengono ingerite dalle specie animali e contaminano la vegetazione marittima. Con conseguenze serie sulla salute umana. Anche se gli studi non sono riusciti a definire esattamente la portata dei danni sull’organismo provocata dalle microplastiche, buona parte della popolazione mondiale le ha nel sangue, nella placenta e nel latte materno.