Greenwashing, il vero pericolo per i consumatori che scelgono di fare una scelta sostenibile: ecco la direttiva che protegge i consumatori.
Sappiamo bene quanto sia pericoloso il greenwashing. Ci troviamo davanti a molte aziende che, ripulendo la propria immagine, si rivendono nel mercato del green, oggi sempre più ampio. La sensibilizzazione sulla situazione ambientale ha ampliato le persone interessate alla causa, tanto da creare un mercato lodevole nel quale, però, si inseriscono squali del mercato con la sola intenzione di ingrandire il proprio profitto. Quindi è sempre una salto ad ostacoli fra ciò che è veramente verde e ciò che si spaccia per ecologico.
Un salto ad ostacoli, vero e proprio, che mette alla prova i consumatori più volenterosi e intenti a fare la loro parte per l’ambiente. Uno dei fattori più in pericolo sono le etichette verdi che, però, nascondo mondi oscuri. La situazione, infatti, ha portato alle aziende di identificarsi come ecologiche e apporlo sui loro prodotti senza riportare alcuna dimostrazione di quanto affermato. Si è contato che il 53% delle etichette verdi con rivendicazioni ambientali, sono generiche e vaghe, oltre al fatto che il 40% delle affermazioni non ha alcuna prova a suo sostegno. In contrasto nacquero nel 1992 le ecoetichette europee che presentano lo scheletro delle direttive che sono pronte per il 2026.
“Affermare che un prodotto è <ecologico>, di per sé, non significa nulla: è un’affermazione generica. Queste affermazioni molto vaghe saranno proibite” spiega Miriam Thiemann, responsabile delle politiche per il consumo sostenibile dell’Organizzazione europea dei consumatori (Beuc) “Perché esattamente sta affermando che il suo prodotto è ecologico o verde? Deve essere in grado di dimostrare perché l’intero prodotto è più verde“. La volontà non solo di tracciare ma di dimostrare l’ecologia di quella etichetta ed il suo valore “verde“, queste sono le volontà dell’Unione Europea. Valutare in maniera sistematica le affermazioni sull’ecosostenibilità di prodotti e servizi.
“L’idea centrale” continua Miriam Thiemann “è che prima di utilizzare un’affermazione o un’etichetta verde, deve raccogliere tutte le prove per dimostrare che ciò che dice è vero. Inoltre un verificatore indipendente dovrà controllare che le prove siano corrette“. Tutto ordinato, nulla che sia lasciato al caso e, soprattutto una UE che non viene lasciata da sola in questa battaglia, ma nella lotta contro il greenwashing, poter contare su organizzazioni di monitoraggio in tutto il continente. Esempio lampante nei Paesi Bassi, dove il monitoraggio viene attivato dall’Acm, l’Autorità olandese per i consumatori e i mercati.
Tutto questo discorso lo immaginiamo soprattutto sulle etichette dei prodotti, ma il progetto europeo parla anche di servizi che si identificano come ecologici. Ecco che viene messo nel mirino, per esempio, da Acm Booking, viste le nuove regole, per il badge “viaggio sostenibile“. Il responsabile della sostenibilità su Booking, Danielle D’Silva, conferma i controlli e le autorizzazioni di terze parti affidabili sul badge di viaggio sostenibile. Una direttiva che a macchia d’olio ha identificato, quindi, nuovi standard ma, soprattutto, vuole combattere il greenwashing non solo nei prodotti ma anche nei servizi.
Quante volte abbiamo mangiato i datteri a Natale? Dopo un pranzo abbondante, spesso accompagnano dolci,…
Indossi il cappello con il pon pon? In pochi sanno che potrebbe essere legato a…
E' scattato l'allarme nei confronti delle spezie più gettonate nella preparazione di dolci e piatti…