Tra i molti settori in cui la sostenibilità sta diventando la parola d’ordine, quello della moda è il più attivo: ma davvero il riciclo dei tessuti avviene nel rispetto dell’ambiente?
L’allarme dell’emergenza climatica sottopone a dura prova non soltanto i cittadini del mondo, ma soprattutto le grandi industrie globali che ogni giorno hanno un grande peso sull’impatto ambientale. Un esempio sono proprio le aziende di fast fashion, i cui capi di abbigliamento low cost sono spesso costituiti da materiale non riciclabile, andando così a riempire ulteriormente le grandi masse di rifiuti di cui il nostro pianeta è pieno.
Molti brand fanno infatti parte della catena di fast fashion che contribuisce all’inquinamento ambientale, le cui quantità di tessuti devono soddisfare la richiesta di massa. Per questo alcuni noti marchi si sono attivamente impegnati in prima linea per favorire il riciclo dei capi, sensibilizzando i propri clienti a restituire i vestiti che non utilizzano più in modo da smaltirli nel modo corretto. Ma è davvero così? La risposta alla domanda è più complessa di quanto non si creda.
Le molecole di cui sono composti i tessuti dei nostri vestiti non sempre seguono le regole del riciclo, ma nel caso di cotone e lana questi possono senz’altro favorire un corretto smaltimento dei capi di abbigliamento. Per questo un famoso marchio nel campo del fast fashion si propone come missione principale quella della sostenibilità, in modo da primeggiare nelle classifiche dei brand più attenti alla natura e all’ambiente.
Tra il dire e il fare, però, c’è di mezzo il mare e in questo caso anche bello grande. Molti vestiti che questo marchio si propone di riciclare finiscono in realtà nelle zone dell’India o dell’Africa dove invece di essere riutilizzati fanno compagnia ai cumuli di rifiuti delle discariche. Basti considerare che in queste zone il clima, o in generale altri motivi logistici, non permettono di indossare i nostri stessi capi occidentali o europei che siano. Per questo vengono gettati o bruciati alimentando il fuoco del disastro ambientale già in atto.
Il famoso brand a cui si fa riferimento era già stato incriminato in passato per le enormi quantità di emissioni di gas serra nei suoi stabilimenti del Bangladesh. Stiamo parlando di H&M, il marchio di abbigliamento svedese che è finito sotto inchiesta di Aftonbladet, un quotidiano appunto svedese che in seguito a delle segnalazioni anonime ha deciso di indagare sulla verità del riciclo dei vestiti.
L’indagine svedese è stata condotta dai giornalisti Staffan Lindberg e Magnus Wennman, i quali attraverso delle AirTag, ovvero una sorta di etichette con tecnologia bluetooth in grado di tracciare i capi su cui erano state appositamente attaccate, hanno così seguito le tappe fatte dai loro articoli per poi scoprire che finivano dritti nelle discariche. L’intento del riciclo dei vestiti dovrebbe essere infatti quello di dare loro “una seconda vita”, ma finendo dall’altra parte del mondo questo non è detto che accada.
I due giornalisti hanno infatti notato che le discariche tessili dove sono finiti i loro capi da riciclo di H&M sono in realtà tra le peggiori del mondo, in quanto contribuiscono in maniera notevole al disastro ambientale. Tra l’altro, alcuni di questi capi erano composti da fibre ritenute da H&M in grado di poter essere indossate di nuovo ed invece sono finite nel cumulo dei detriti. La campagna di recycling promossa da H&M, con tanto di un buono di 5 euro su 40 di spesa per ogni sacchetto di vestiti riutilizzabili a loro affidato, permette così di far scoprire gli altarini.
Come spiega sul suo profilo Linkedin Erica Löfving, componente svedese dell’esecutivo internazionale per la sostenibilità, da un lato questa inchiesta ha evidenziato che, nonostante il lodevole obiettivo proposto dalla catena di abbigliamento “gli obiettivi sono lontani dall’essere raggiunti”, e ciò sensibilizza i consumatori a comprare di meno. Ma dall’altro punto di vista i clienti vengono così scoraggiati ad affidarsi al riciclo dei vestiti di H&M o di qualunque altro brand che si propone di fare campagna di recycling.
In questo senso, gli stessi giornalisti dell’inchiesta di Aftonbladet ritengono che il sistema di riciclo indetto da H&M può sembrare incrollabile, eppure inviando questi capi di abbigliamento in paesi poveri come Asia e Africa, non aiutiamo il nostro pianeta ma anzi carichiamo questi territori di macigni di rifiuti di cui non possiedono i mezzi per prendersene cura. Non solo H&M, ma anche altri noti brand che fanno parte della fast fashion non sempre tengono traccia dei loro capi e il riciclo finisce così in un nulla di fatto. I clienti vengono invogliati sempre di più a comprare, e la sostenibilità nella moda diventa solo un miraggio.
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