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Nella vicenda dell’Ilva di Taranto si apre un nuovo capitolo di tensioni a causa dello sciopero, che è stato proclamato ad oltranza e al quale hanno aderito la Fim-Cisl, la Uilm-Uil e la Fiom-Cgil. Tutte le sigle sindacali hanno chiesto che l’azienda rispetti la legge. Si sono fermati circa 300 operai e si è deciso di occupare la sala del consiglio di fabbrica. Si sono fatti avanti anche gli attivisti del comitato “Cittadini e lavoratori liberi e pensanti”. In effetti le prospettive future sono a rischio e si fanno strada i timori di perdere il posto di lavoro. Non è la prima volta che si ingenerano paure di questo genere in una situazione complicata, che ha visto un mix pericoloso di inquinamento ambientale e di minaccia di disoccupazione.
Marco Bentivogli, segretario nazionale della Fim-Cisl, è intervenuto sulla questione e ha sottolineato che non può essere chi lavora a pagare in attesa della decisione della Corte Costituzionale. Rimane aperta la faccenda relativa al conflitto di attribuzione portato avanti dalla Procura di Taranto.
I ritardi e i tempi lunghi hanno un ruolo determinante, perché nel frattempo nei depositi e nei piazzali dello stabilimento continuano a giacere i semilavorati, che sono stati sequestrati alla fine di novembre. Si tratta di un milione e mezzo di tonnellate di prodotti e tutto ciò incide sulla ripresa dell’attività senza intoppi.
La società adesso dovrà investire 4 miliardi per mettere a punto i provvedimenti previsti dall’Aia, l’Autorizzazione integrata ambientale, in modo che gli impianti siano compatibili con la salvaguardia dell’ambiente e con la tutela della salute di chi vive nella zona.
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Tensione per il possibile ritardo degli stipendi
Le sigle sindacali di Fiom, Fim e Uilm hanno richiesto un incontro con i dirigenti dell’Ilva di Taranto, per riuscire a valutare quali potranno essere le conseguenze del sequestro dei prodotti semilavorati e finiti messi a punto dallo stabilimento siderurgico. L’Ilva di Taranto ha presentato una domanda di revoca del sequestro, ma la Procura di Taranto ha espresso parere negativo riguardo alla vicenda. Come conseguenza ci potrebbe essere un ritardo nel pagamento degli stipendi ai lavoratori. Il tutto non fa altro che aumentare la tensione, perché solitamente gli stipendi vengono pagati il 12 di ogni mese, ma adesso si potrebbero accumulare degli enormi ritardi.
I sindacati hanno già chiarito che si tratta di una situazione insostenibile. A questo proposito infatti Mimmo Panarelli, responsabile provinciale Fim-Cisl, ha dichiarato: “Ora si scatenerà un altro guaio: i lavoratori, quando li metti nelle condizioni di non avere più la parte economica, non li tieni più. Ci sono mutui e bollette da pagare. Mi auguro che l’azienda mantenga, pur in presenza di questa grande difficoltà, che capiamo perfettamente, l’impegno di pagare il 12 gennaio le retribuzioni ai dipendenti”.
Continuano quindi i guai per l’Ilva di Taranto, l’impianto più discusso d’Italia. Già la fabbrica è stata coinvolta in varie vicende giudiziarie, che hanno portato all’arresto di manager e politici.
Il tasso di inquinamento dell’Ilva di Taranto ha creato numerosi problemi di sostenibilità ambientale. Il risultato è stato anche un procedimento giudiziario, che ha messo a rischio il lavoro per molti dipendenti.
Le sigle sindacali vogliono capire anche come verrà affrontato il problema della cassa integrazione, che riguarderà soprattutto i dipendenti dell’area a freddo. Si sperava nello sblocco dei prodotti finiti, per far riprendere gli impianti, ma adesso la situazione si complica.
Ricorso della Procura contro il decreto salva Ilva
La Procura di Taranto ha fatto ricorso contro il decreto salva Ilva. Viene sostenuta una situazione di conflitto di attribuzione di poteri dello Stato. Secondo ciò che è stato affermato dai magistrati, il Governo avrebbe interferito con l’indagine che si basa sul disastro ambientale e che ha portato al sequestro degli impianti dello stabilimento. La Procura di Taranto, secondo quanto si è appreso, intenderebbe anche sollevare la questione di incostituzionalità della legge sull’Ilva di Taranto.
Tutto ciò potrebbe verificarsi già a partire dall’8 gennaio, quando sarà in discussione il ricorso presentato dall’Ilva, che ha chiesto al Tribunale d’Appello la possibilità che vengano dissequestrate le merci bloccate, in modo che possano essere vendute.
Secondo i magistrati, il Governo avrebbe impedito l’esercizio dell’azione penale, visto che gli impianti dell’area a caldo sono stati riconsegnati all’Ilva e visto che in questo modo l’industria è tornata a produrre acciaio.
L’8 gennaio prossimo si deciderà sul dissequestro delle merci, che sono composte da prodotti finiti e semilavorati, i quali sono stati messi a punto nei quattro mesi in cui gli impianti erano sotto sequestro e l’azienda non aveva l’autorizzazione alla produzione. Si tratta di merce che vale circa un miliardo di euro.
La procura è in attesa che il decreto convertito in legge venga pubblicato sulla gazzetta ufficiale, in modo da poter inoltrare alla Consulta un altro ricorso, che dovrebbe essere basato sulle stesse motivazioni del primo.
Per sollevare l’incostituzionalità della legge, si ha bisogno di una sede tecnica. Quest’ultima potrebbe essere, oltre che l’8 gennaio, anche il 3 gennaio, giorno in cui si discuterà di un ricorso dell’Ilva contro il dissequestro degli impianti.
L’autorizzazione Aia diventa legge
Il Senato ha detto sì al decreto legge sull’Ilva di Taranto. Il provvedimento, che già era stato approvato alla Camera, adesso è diventato legge. I sì sono stati 217, i no 10 e 18 gli astenuti. La legge stabilisce che, oltre alla tutela ambientale, si debba garantire la continuità produttiva, anche nella fase in cui gli impianti porteranno avanti una fase di adeguamento alle normative ambientali. Diventa legge così l’autorizzazione integrata ambientale dell’Ilva di Taranto.
Si conclude in questo modo un capitolo della vicenda, che ha tenuto col fiato sospeso molti operai che, in nome della salvaguardia dell’ambiente, rischiavano di perdere il loro posto di lavoro.
La legge comunque non riguarda soltanto lo stabilimento siderurgico di Taranto, ma tutte le industrie nazionali di interesse strategico, che abbiano più di 200 addetti.
Si è raggiunto così un sostanziale equilibrio fra rispetto dell’ambiente e salvaguardia dell’occupazione. Si tratta di un lieto fine? E’ difficile riuscire a dare una risposta precisa, ma già ieri, 20 dicembre, intervenendo sulla questione, il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante aveva insistito sulla necessità dell’impegno nel custodire i posti di lavoro, affermando: “Non ci siano lotte, divisioni e contrasti su alcuni valori come l’ambiente, la salute, il lavoro. Non ci possono essere contrasti su questi valori fondamentali per la nostra vita civile”.
Il prossimo 8 gennaio, nel Tribunale di Taranto, in appello, sarà in discussione il ricorso dell’Ilva contro l’ordinanza che l’11 dicembre scorso ha respinto la revoca del sequestro dei prodotti finiti e semilavorati.
Clini: “Possibile l’evacuazione del quartiere Tamburi”
Ancora novità sull’Ilva di Taranto. Dopo le ultime notizie sulla chiusura dello stabilimento siderurgico e sui gravi incidenti a causa della recente tromba d’aria su Taranto, si parla addirittura della possibilità di evacuare il quartiere Tamburi della città. E’ al momento una delle possibilità allo studio da parte del Governo. Lo ha detto lo stesso ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, da Roma, nel corso dell’intervento a “Più Libri più Liberi”. Si apre quindi questa nuova possibilità per alcune delle aree attorno all’Ilva di Taranto.
Il ministro Clini ha spiegato in particolare: “L’evacuazione è una delle possibilità. Sappiamo che le caratteristiche abitative del quartiere sono tali per cui alcune aree risultano più esposte. Queste possono essere evacuate, ovviamente se gli abitanti sono disponibili”.
L’idea potrebbe essere quindi quella di far evacuare un’intera area vicino l’impianto dell’Ilva, quella maggiormente a rischio, perché più esposta all’inquinamento ambientale causato dallo stabilimento. Naturalmente prima però bisognerebbe sentire il parere dei cittadini interessati.
Il ministro ha spiegato di aver parlato con il sindaco di Taranto, Ippazio Stefano, per cercare delle nuove possibilità abitative alternative a quelle esistenti. Secondo Clini infatti ci sarebbero due problemi per chi abita in queste zone.
Nel corso del tempo infatti sarebbero aumentate le costruzioni autorizzate sempre più vicine all’impianto e inoltre bisogna considerare che il parco minerario dell’Ilva nel corso del tempo è raddoppiato. La possibilità dell’evacuazione era comunque già stata contemplata nel decreto su Taranto dello scorso mese di agosto.
Tromba d’aria sull’Ilva di Taranto: incendi e feriti
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Ancora problemi per l’Ilva di Taranto. Una violenta tromba d’aria si è abbattuta questa mattina su Taranto, causando seri problemi anche allo stabilimento dell’Ilva. Ci sarebbero dei feriti tra gli operai, che stavano manifestando contro la decisione dell’azienda di chiudere gli impianti. La tempesta causata dal maltempo ha causato diversi crolli, quintali di cemento sono caduti a terra, per la tromba d’aria, ma anche per un fulmine che ha colpito una torre alta circa 80 metri. L’intera città di Taranto sta avendo problemi a causa del maltempo e lo stabilimento dell’Ilva di Taranto continua a far parlare, proprio poche ore dopo la decisione della chiusura.
Si teme anche che ci siano delle vittime tra coloro che si trovavano all’interno dell’area dello stabilimento, adesso evacuata. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco, la polizia, i carabinieri e alcune ambulanze, per prestare soccorso.
Si è alzata anche una nube nera dallo stabilimento e alcune aree dell’impianto sono andate in fiamme. Dai video che sono stati diffusi negli ultimi minuti si vede che diverse zone dello stabilimento sono state colpite da incendi.
Le aree colpite dalla devastazione sono in particolare quelle in cui avviene la lavorazione della ghisa e le cokerie. Ci sarebbero una ventina di feriti e un disperso, un gruista che si trovava nel punto in cui si caricano i materiali provenienti dalle navi. Sono in corso le ricerche dell’uomo, visto che la gru sarebbe finita in mare.
Sono state bloccate anche le strade intorno allo stabilimento, mentre da Brindisi sta arrivando la squadra Nucleare, batteriologico, chimico e radiologico dei vigili del fuoco.
Chiude l’Ilva di Taranto: 5.000 operai a casa
L’Ilva di Taranto ha deciso di fermare gli impianti. Dopo il blitz della magistratura che ha portato all’arresto di funzionari e politici nell’inchiesta relativa allo stabilimento, la reazione dell’azienda è stata molto chiara: i badge sono tutti disattivati e 5.000 lavoratori possono andare a casa. La decisione è stata presa nel corso di un incontro urgente avvenuto proprio nello stabilimento. La dirigenza dell’Ilva di Taranto ha comunicato la scelta di fermare gli impianti ai lavoratori, che hanno di conseguenza deciso di occupare lo stabilimento con un presidio permanente.
La decisione dell’Ilva di Taranto è una reazione ben precisa agli arresti e ai sequestri effettuati nel corso della giornata di lunedì 26 novembre. I sindacati però non ci stanno e annunciano occupazione e sciopero: “Riteniamo inaccettabile la decisione della direzione di fermare tutti gli impianti dell’area a freddo a partire da questo pomeriggio. Consideriamo tale scelta un vero e proprio atto di rappresaglia nei confronti dei lavoratori. Pertanto si proclama da subito lo sciopero di tutto lo stabilimento, con presidi permanenti”.
Molte le reazioni in Italia, dopo la decisione urgente dell’Ilva di Taranto, l’impianto più discusso d’Italia. Maurizio Landini, segretario generale Fiom, ha chiesto al Presidente del Consiglio di convocare un incontro a Palazzo Chigi, affermando che adesso è il Governo a doversi assumere la responsabilità relativamente alla salvaguardia della salute e dei posti di lavoro. Una responsabilità che, secondo Landini, dovrebbe riguardare anche i posti di lavoro a rischio non solo per Taranto, ma in tutto il gruppo.
Si teme naturalmente anche per la situazione degli impianti di Genova, in cui lavorano 1.760 dipendenti. Francesco Grondona, segretario Fiom della città ligure, ha affermato che si sta aspettando per capire ciò che sta succedendo. Ma avverte: “Una cosa è certa: non saremo gli agnelli sacrificali di nessuno. Siamo contrari a qualsiasi ipotesi di chiusura. Se così fosse, allora muoia Sansone con tutti i filistei”.
L’Ilva di Taranto, al centro delle polemiche sul tasso di inquinamento, ha specificato che la cessazione delle attività avviene per l’impossibilità di commercializzare i prodotti. In questo modo per lo stabilimento di Taranto e tutti gli stabilimenti del gruppo che dipendono da Taranto, secondo l’Ilva, non ci sono altre alternative se non quella della chiusura.
La storia dell’Ilva è fatta di polemiche e anche di un incidente, come quello avvenuto a settembre, quando un operaio è rimasto ustionato dopo un’esplosione. Problemi che si sono sommati a quelli già esistenti, dal punto di vista dell’inquinamento ambientale.
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