Greenpeace Germania fa chiarezza sull’industria del fast fashion. Allo scoperto le aziende che millantano l’ecologismo di facciata.
Il nuovo report di Greenpeace Germania illumina il fenomeno del greewashing di cui sempre più aziende e industrie della moda si fanno promotrici. Perché? Semplice, è più facile dichiarare una produzione di stampo sostenibile riempiendo di banner e plug-in verdi il proprio sito che rinunciare a tessuti sintetici e derivati del petrolio. L’ecologismo di facciata, conosciuto col termine inglese di “greenwashing” è un fenomeno contemporaneo pressocché dilagante.
A parlare dei risultati dell’indagine è Viola Wohlgemuth, responsabile della difesa delle risorse di GreenPeace, la quale sottolinea come a 10 anni dal crollo del Rana Plaza l’industria del fashion non sembri averne abbastanza di sfruttamento di risorse ambientali e vite umane. Scrivere su un’etichetta che i propri prodotti sono sostenibili e rispettosi dell’ambiente e al contempo continuare a produrre tessuti in poliestere è menzognero.
Lo stratagemma utilizzato dalle aziende del fast-fashion consiste nel fare frequente uso su etichette e slogan pubblicitari di parole a tema green come “sostenibilità”, “verde”, “eco-friendly“, “rispettoso dell’ambiente”. Le aziende leader del settore della moda sono state oggetto delle scrupolose analisi di Greenpeace che è andata ad analizzare addirittura le acque di scarico prodotte da suddette fabbriche.
Oltre a quella sulle acque reflue l’indagine ha coinvolto i salari percepiti dai dipendenti e le politiche di accesso ai dati di produzione resi disponibili alla clientela. Il report completo si trova qui. A creare i problemi più gravosi è senza ombra di dubbio la plastica che ha un impatto sull’ambiente di dimensioni catastrofiche. Entro il 2030 si stima che la produzione di tessuti sintetici salirà ad oltre 200 miliardi.
Questi dati raccontano un fatto lampante: meno dell’1% dell’abbigliamento complessivamente prodotto è realizzato con fibre tessili riciclate. A dover essere incentivata è la compra-vendita di vestiti di seconda mano, la possibilità di noleggio per i vestiti e in generale ogni pratica che contempli il riciclo dei capi. La strada verso lo sviluppo di un’economia circolare è ancora lunga.
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