L’olio è un rifiuto difficile da smaltire, il cui impatto ambientale e il relativo inquinamento prodotto (se non correttamente smaltiti grazie alla raccolta differenziata) possono essere davvero impegnativi. Pensate che 4 chili di lubrificante versati in acqua possono inquinare una superficie vasta come quella di un campo da calcio. Non c’è da stupirsi, dunque, se esiste persino un consorzio -Coou, il Consorzio obbligatorio degli oli usati– che si dedica dal 1984 proprio alla gestione dei rifiuti e degli scarti derivanti dall’utilizzo degli oli.
In questo periodo, raccontano, è stato raccolto un quantitativo che si avvicina ai 5 milioni di olio usato: se non fosse stato fatto, l’inquinamento ambientale avrebbe potuto colpire aree vaste due volte il Mare Mediterraneo.
Se qualcuno ancora lo sversa nel terreno, sappia che così entra direttamente nel ciclo biologico dei terreni agricoli e nei loro frutti, con conseguenze devastanti.
La rigenerazione dell’olio ha permesso di riciclarne ben l’88%: dati importanti per la tutela ambientale ma anche per le nostre finanze. Con questa operazione di raccolta differenziata sono stati poi risparmiati 2,9 milioni di euro derivanti proprio dall’importazione di olio, senza contare i costi e i danni ambientali che si sarebbero dovuti sostenere per le bonifiche dell’ambiente e del territorio. Questo, per chi ancora pensasse che gli interesse dell’ambiente debbano essere in conflitto con quelli del portafoglio.
Sono ben 80 le società che in tutto il territorio italiano si occupano di raccogliere gratuitamente l’olio usato per darlo alle raffinerie: chi utilizza particolarmente questo servizio sono le imprese dell’autotrazione e dell’industria, anche se le imprese più piccole -industriali, dei settori nautici e agricoli-, sono quelle che fanno più fatica a comprendere l’importanza del riciclo e la filiera per arrivarci.
photo: lagohsep
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