E’ un evidente inquinamento del mare quello che risulta da Mare Monstrum 2012, il dossier diffuso da Legambiente sulla situazione nel Mar Mediterraneo. Cemento, rifiuti, pesca illegale, scarichi fognari che non vengono depurati. E in testa alla classifica delle regioni meno rispettose in questo senso troviamo la Campania, seguita poi dalla Sicilia, dalla Puglia e dalla Calabria. Sono queste le regioni che compiono più irregolarità a danno dell’ambiente e della salvaguardia delle acque del mare.
A cura di Gianluca Rini
Le illegalità più diffuse riguardano soprattutto la pesca di frodo, l’abusivismo edilizio e la mancata depurazione delle acque di scarico.
Si tratta di crimini ai danni del mare, che nel 2011 hanno visto portare alla denuncia di 15.790 persone e all’arresto di altre 3.870. Rossella Muroni, direttrice generale di Legambiente, fa notare: “Le magnifiche coste del nostro Paese sono purtroppo lambite da un mare di illegalità. Anche quest’anno con la Goletta Verde affronteremo tutte le criticità che incombono sul nostro ecosistema marino e costiero“.
Continua la direttrice di Legambiente: “In particolare, punteremo i riflettori sull’abusivismo e la speculazione edilizia che imperversano lungo la costa e che sono una vergogna nazionale che non conosce eguali in nessun altro paese europeo. Dopo decenni di denunce, di battaglie legali e di campagne di sensibilizzazione, ben poco è cambiato. Molti degli ecomostri segnalati da anni sono ancora in piedi ed il rischio è proprio quello di farci l’abitudine“.
In particolare gli ambientalisti propongono degli strumenti e delle strategie per combattere soprattutto il cemento illegale sul demanio.
Inquinamento del Mar Mediterraneo: un nuovo sistema di prevenzione
A cura di Gianluca Rini
Molto interessante è il progetto europeo MEDES-4MS, che intende prevenire i pericoli legati all’inquinamento del Mar Mediterraneo in caso di sversamento di idrocarburi. L’obiettivo è quello di riuscire a portare avanti un monitoraggio del mare in tempo reale, in modo da riuscire a gestire al meglio la situazione nei casi di emergenza. Si tratta di un progetto della durata di tre anni, che è partito a febbraio e coinvolge 21 Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. A coordinare il tutto è il dipartimento della marina mercantile del ministero delle Comunicazioni di Cipro.
Nel nostro Paese è coinvolto il Cnr, insieme all’istituto per l’ambiente marino costiero di Oristano e l’istituto di scienze dell’atmosfera e del clima di Roma.
Il sistema è basato sul confronto fra le informazioni che provengono in tempo reale con i modelli di previsione. In questo modo, in caso di petrolio in mare, si potranno prevedere quali direzioni e quali conformazioni assumerà il trasporto degli idrocarburi nell’acqua marina.
A tal proposito il coordinatore del progetto, Efstratios Georgoudis, ha spiegato: “Sarà composto da informazioni ambientali provenienti dal Marine Core Service del programma europeo GMES e dai sistemi nazionali di previsione del mare. Questi saranno interfacciati con i dati sulla diffusione delle macchie di idrocarburi provenienti da esistenti piattaforme di monitoraggio del sistema CleanSeaNet di Emsa e dal sistema di identificazione automatica installato sulle navi“.
Un sistema davvero innovativo per riuscire a garantire la salvaguardia delle acque del mare nei casi particolari di forte impatto ambientale.
Le stime sui rifiuti in plastica falsate dal vento
Quello dell’inquinamento del mare è un tema che deve essere costantemente affrontato, per riuscire a comprendere quali comportamenti tutti dovremmo mettere in atto per evitare l’esistenza di un fenomeno che mette a rischio la salute dell’ambiente. Le stime relative ai rifiuti in plastica nei mari potrebbero però essere falsate. E la causa principale di questi numeri non corrispondenti a verità potrebbe essere il vento. A dirlo è uno studio effettuato in America, che mette in luce l’esistenza di un fenomeno che forse non andrebbe sottovalutato.
In particolare si tratta di un’analisi effettuata dai ricercatori della University of Washington, che ha posto all’attenzione il fatto che il vento tende a spingere i rifiuti di plastica sul fondo degli oceani. Questo naturalmente indicherebbe una maggiore presenza di questa tipologia di rifiuti nel fondo marino, a discapito dei numeri che abbiamo attualmente sui rifiuti di plastica in mare, che risulterebbero quindi non corrispondenti alla realtà.
Spiega l’oceanografo Giora Proskurowski: “Durante una spedizione di ricerca mi sono accorto che moltissime particelle di plastica, che normalmente galleggerebbero, sparivano alla vista non appena si alzava il vento, anche nelle zone più inquinate“.
E’ stata portata avanti quindi un’azione di ricerca maggiormente approfondita e i risultati sono davvero chiari: “Abbiamo quindi raccolto dei campioni di plastica fino a cinque metri di profondita’ invece che limitarci solo a uno sguardo superficiale. La presenza del vento ci portava a sottostimare la presenza dei rifiuti di 2,5 volte in media. Nei casi di forte vento, la quantita’ di plastica presente era anche 27 volte superiore a quella visibile in superficie“.
Nel Mediterraneo petrolio e plastica
A proposito di inquinamento del mare molto preoccupanti sono i dati che riguardano il Mediterraneo, il quale è sempre più a rischio a causa del petrolio e della plastica. A mettere in evidenza la situazione allarmante è stato il “Census of Marine Life”, un censimento che nel corso di dieci anni ha coinvolto 25 aree marine di tutto il mondo. La questione tocca da vicino la biodiversità di cui il Mar Mediterraneo è portatore. Infatti gli agenti inquinanti a cui esso è soggetto stanno mettendo a dura prova le forme di vita che nel mare trovano il loro habitat naturale.
L’inquinamento del mare non è una questione che può passare inosservata, ma ha bisogno di azioni concrete per essere risolta. La tutela ambientale è un imperativo che deve coinvolgere l’intera comunità. Per quanto riguarda il Mediterraneo nello specifico non si può non tenere conto dei gravi effetti che il petrolio determina sull’ecosistema marino, considerando anche il fatto che il 60% del commercio mondiale di petrolio passa proprio per le sue acque.
Altro fattore che non bisogna trascurare a questo proposito è il fatto che proprio sulle coste del Mediterraneo è possibile rintracciare il 27% di tutte le attività mondiali connesse con il processo di raffinazione del petrolio.
Anche l’impatto ambientale causato dall’abbandono dei rifiuti plastici e industriali mette in serio rischio il Mediterraneo, che non si può definire di certo un’area ad impatto zero. Fosforo, azoto e metalli pesanti sono alcuni dei principali imputati, oltre alle sostanze chimiche che vengono utilizzate nel settore agricolo. Una situazione pericolosa, sulla quale si dovrebbe intervenire.