Da anni si cercano soluzioni per ridurre le quantità di plastica che vengono disperse nell’ambiente ed in mare: tra queste anche i batteri mangia plastica.
È innegabile che l’inquinamento da plastica rappresenti un problema per gli ecosistemi e per il Pianeta intero considerati i volumi di produzione confermati dalle statistiche. Secondo le recenti stime, ammonterebbe a circa 390 milioni di tonnellate la quantità di plastica prodotta ogni anno a livello globale. Purtroppo, la gran parte di questa finisce dispersa nell’ambiente, soprattutto in mare.
Per gli esperti, continuando con tale andamento, nel 2050 negli oceani potrebbero esserci più rifiuti di plastica che pesci. Una situazione che ha spinto vari governi ad introdurre norme per ridurre la produzione e l’utilizzo di plastica monouso.
Negli ultimi anni per combattere il fenomeno dell’inquinamento si sta studiando una nuova particolare soluzione: i batteri mangia plastica di cui si parla da qualche anno. Soluzione che avrebbe spaccato l’opinione degli esperti del settore.
Da alcuni anni si parla di batteri mangia plastica, microrganismi che si nutrirebbero, appunto, di plastica riuscendo a degradarla in un tempo più rapido rispetto a quello normalmente previsto (centinaia di anni).
Tutto è nato quando alcuni studiosi giapponesi del Kyoto Institute of Technology hanno individuato delle colonie di batteri in una discarica che avevano la capacità di digerire, a causa di una mutazione genetica, il PET (Polietilene tereftalato), resina termoplastica utilizzata nella maggior parte dei prodotti di plastica immessi sul mercato, soprattutto nelle bottiglie per le bevande e negli altri contenitori alimentari.
La ricerca dell’istituto nipponico ha dato il via ad altri studi in merito per cercare di trovare una soluzione all’inquinamento da plastica a livello mondiale.
Nel 2018, gli scienziati dell’Università di Portsmouth hanno provato a modificare i batteri mangia plastica, l’Ideonella sakaiensis individuato in Giappone, cercandone di “migliorare l’efficienza”. Gli esperti avrebbero alterato la struttura dell’enzima in modo da renderlo capace di degradare il PET in un tempo ancora più rapido.
Ricerche che sono proseguite negli anni, con la scoperta di altri batteri in grado di degradare la plastica, ma che non avrebbero convinto pienamente alcuni esperti, i quali ritengono l’uso dei batteri mangia plastica una soluzione non troppo efficace e veloce per ridurre la quantità di plastica dispersa nell’ambiente. Per questi, sarebbero, dunque, necessari altri tipi di strategie.
Per alcuni scienziati il problema, dunque, sarebbe legato all’enorme produzione di plastica annuale a livello globale (circa 390 milioni di tonnellate). Inoltre anche il comportamento della popolazione che molto spesso non pensa al riciclo e disperde i rifiuti, soprattutto quelli monouso, nell’ambiente, nonostante siano diverse le indicazioni date in merito.
Questo causerebbe la morte di molte specie che popolano gli oceani: molti pesci, difatti, ingeriscono rifiuti o rimangono intrappolati perdendo la vita. Una circostanza che avrebbe poi delle ripercussioni anche sulla popolazione.
Sul punto è intervenuto anche il segretario generale dell’ONU, António Guterres, il quale ha spiegato come senza azioni drastiche per fermare tale fenomeno nel mare, entro il 2050, potrebbero esserci più rifiuti di plastica rispetto al numero dei pesci.
Le Nazioni Unite, qualche mese fa, hanno raggiunto un accordo, la cui bozza è stata pubblicata a settembre, per ridurre la produzione di plastica.
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