Dire qualche bugia ogni tanto è normale e di solito riuscire ad individuare se qualcuno mente non è semplice ma secondo un nuovo studio esistono alcuni segnali facili da leggere per chiunque
Esistono alcune professioni, soprattutto in ambienti di lavoro affascinanti come quelli delle spie, in cui mentire è fondamentale e, così almeno insegna Hollywood, gli agenti segreti sono addestrati proprio a creare bugie credibili ed elaborate per sopravvivere e portare a compimento il proprio lavoro. Ma allontanandosi dalla finzione cinematografica non si può negare che ci siano persone che potremmo definire bugiardi seriali.
Incapaci di dire la verità e almeno in apparenza in grado di far credere a chiunque qualunque cosa. La scienza si è più volte domandata se e come si possano individuare i segnali delle menzogne. È per questo che per esempio esiste la cosiddetta macchina della verità, anche se non è affidabile sempre. Un nuovo studio sembra però poter dare ai comuni mortali un sistema abbastanza affidabile per capire se la persona con cui si sta parlando dice la verità o sta raccontando una bugia. Sarebbe tutta una questione di dettagli minimi.
Come si racconta una bugia? La scienza del mentire
La bugia perfetta dovrebbe essere costruita a partire dalla verità per potere essere così credibile e più facile da ricordare nel tempo. Un racconto verosimile dovrebbe poi essere ricco di particolari. Ed è proprio su questo aspetto, sul numero cioè di particolari che si raccontano in caso di una bugia, che si è andato a concentrare lo studio condotto dal team guidato dal professor Bruno Verschuere.
Come si legge nell’incipit dell’abstract “decenni di ricerca hanno dimostrato che le persone non sono brave ad identificare le menzogne” ed è per questo che lo studio ha cercato di avere un approccio cosiddetto euristico per provare a dare qualche spiegazione e fornire strumenti a chi le bugie le deve identificare, andando a lavorare dunque con la scienza contro chi è abituato a mentire. L’esperimento portato avanti dal professor Verschuere ha dato risultati promettenti, segno che il metodo sperimentato potrebbe essere applicato con una buona dose di soddisfazione. Se per soddisfazione ovviamente si intende riuscire a smascherare quando il collega d’ufficio dice qualche bugia.
Il diavolo nei dettagli
Il test è stato condotto su due gruppi di studenti divisi tra bugiardi e non bugiardi. A tutti è stato dato come compito quello di dichiarare di essere stati per mezz’ora in giro nel Campus universitario della università di Amsterdam. Ai non bugiardi è stato detto che cosa fare mentre ai bugiardi è stato detto di rubare un documento. Tutti sono stati poi portati a raccontare quello che avevano fatto. Ed è venuto fuori che gli altri studenti incaricati di esaminare i resoconti di bugiardi e non bugiardi, concentrandosi solo sulla qualità e sul numero dei dettagli dei diversi racconti, sono riusciti ad individuare con una buona dose di successo che ha sfiorato l’80% chi aveva detto una bugia. Il trucco sarebbe quello di andare a guardare proprio i dettagli con cui si racconta un avvenimento: chi dice la verità di solito racconta molti dettagli perché li ricorda e perché fanno parte dell’esperienza che vuole comunicare, chi mente d’altro canto non ha un’esperienza diretta e quindi cerca solo di riportare al proprio interlocutore il minimo indispensabile per farla franca.