Ecco come si pone la scienza di fronte al miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro, tra fede popolare, tradizione e scetticismo
Gennaro, tra i santi dell’antichità, è certamente uno dei più popolari e venerati. I napoletani gli tributano un culto, testimoniato fin dal XIV secolo, fatto di passione e grande partecipazione popolare. Egli fu vescovo di Benevento e morì martire decapitato sotto l’impero di Diocleziano, nel terzo secolo d.C.
La venerazione delle reliquie, due ampolle contenenti il sangue del martire, oggi conservate nel Duomo della città, è legata a prodigi ed eventi straordinari fin dai primi secoli del cristianesimo, in particolare durante terremoti ed eruzioni del Vesuvio in cui i fedeli chiedono la sua intercessione. Non ultima quella del 1631 in occasione di una distruttiva eruzione del vulcano.
Secondo la tradizione l’evento miracoloso avviene 3 volte l’anno: il primo sabato di maggio, il 19 settembre e il 16 dicembre. A settembre le relique vengono esposte sull’altare maggiore del Duomo e dopo ripetute preghiere, in presenza del cardinale arcivescovo, avviene la liquefazione del sangue tra l’entusiasmo dei fedeli. La reliquia rimane esposta per 8 giorni, in cui è consentito avvicinarsi e baciarla.
La Chiesa, nonostante la devozione dei napoletani, però non parla ufficialmente di miracolo, ma di fenomeno inspiegabile, di prodigio. Questo non limita la venerazione delle reliquie che rimane tuttora salda nella città. In realtà, non vi certezza che nelle ampolle sia veramente conservato il sangue del martire. La scienza ha provato più volte a spiegare l’evento.
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L’esperimento più noto e accreditato risale al 1991 e fu eseguito da tre studiosi dell’Università di Pavia per conto del Cicap, Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze. Lo studio finì addirittura sulle pagine della rivista Nature. I ricercatori fecero ricorso alla nozione di tissotropia, vale a dire alla capacità di alcune sostanze gelatinose di passare allo stato liquido se agitate.
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Gli studiosi riprodussero di fatto quanto avveniva durante la celebrazione del santo. La ricerca non entrava nel merito di quale fosse la reale materia presente nella teca riposta nel Duomo di Napoli, ma l’esperimento aveva duplicato in laboratorio il miracolo grazie a sostanze che erano note anche in secoli ormai passati.
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