Il bisogno in aumento di terre rare sta portando l’uomo a esplorare i fondali oceanici: ma quali sono i rischi dell’esplorazione mineraria?
L’attività umana necessita costantemente di risorse da sfruttare, in via dell’aumento della popolazione e dell’aumento dei bisogni da soddisfare. In molti casi questa crescita comporta però un uso sconsiderato delle risorse, che vengono ricercate in ogni dove e in qualsiasi modo, anche in fondo all’oceano o nello spazio. Nello specifico stiamo facendo riferimento all’estrazione mineraria di terre rare e metalli, che in alcuni casi avviene anche dal fondo dell’oceano.
Ma andiamo con ordine: innanzitutto come è possibile che si possano estrarre minerali dai fondali oceanici? Questa pratica si chiama deep sea mining e prevede l’estrazione di minerali dagli asteroidi presenti sui fondali marini. Essa ha avuto applicazioni pratiche già a partire dal 2017, quando l’azienda giapponese Jogmec è riuscita a estrarre 649 chili di fondale ricco di nichel con la nave Hakurei.
Ma da un punto di vista ambientale i rischi del deep sea mining sono enormi: non solo l’estrazione di blocchi di fondale comporterebbe la morte degli organismi animali e vegetali ivi presenti, ma avrebbe conseguenze anche sull’ambiente circostante. La pratica comporterebbe infatti un massivo sollevamento di sedimenti che, depositandosi nei dintorni, andrebbero a uccidere la vita microscopica.
Allo stesso tempo anche l’inquinamento acustico nell’habitat marino comporterebbe gravi conseguenze per le specie ittiche. Basti pensare che già le vibrazioni emesse dal traffico navale sono spesso causa di spiaggiamenti di grandi cetacei o alterazione delle abitudini riproduttive di alcune specie. L’impiego dei macchinari estrattivi andrebbe a esacerbare ancor di più questa problematica!
Oltre ai danni ambientali bisogna poi considerare anche gli enormi costi economici dell’estrazione mineraria oceanica. I macchinari che oggi abbiamo a disposizione, nonché la pratica estrattiva stessa, hanno costi considerevoli che poche imprese possono sostenere. Secondo l’USGS (il servizio geologico americano), però, essi potrebbero procurare il 5% del fabbisogno mondiale di minerali entro il 2030 e giungere al 15% entro il 2050.
Infine è necessaria una postilla sulla questione etica che questa pratica comporta. Non è un segreto che l’attività umana stia distruggendo il pianeta, tanto che secondo le Nazioni Unite siamo vicini a raggiungere 6 punti di rottura da cui non si potrà fare ritorno. Proprio per via di questa condizione si sta puntando molto sulla rieducazione all’uso delle risorse, nonché sulla filosofia dell’economia circolare.
L’idea è quella di riciclare i materiali di scarto al fine di evitare l’uso di nuove risorse e di imparare un uso consapevole dei mezzi che abbiamo a nostra disposizione. Ma stante tutto ciò che abbiamo detto sulle conseguenze dell’estrazione oceanica, come si può pensare di conciliarla con questa filosofia? È evidente la necessità di regolamentare il deep sea mining, che già oggi è macchiato da un’assegnazione iniqua dei lotti di esplorazione mineraria e che, per fortuna, deve ancora scontrarsi con numerose difficoltà pratiche prima di prendere il largo, letteralmente!
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