Non si hanno ancora molti dettagli sulla dinamica dell’incidente e non si sa se si è trattato di una falla o di un errore umano. Subito dopo l’allarme sono intervenuti i tecnici della Capitaneria di porto. Prezioso è stato anche l’intervento dei sub, che hanno effettuato immediatamente le immersioni per cercare di comprendere nel dettaglio il danno nello scafo dell’imbarcazione.
I rilievi parlano in particolare della presenza di alcune griglie dello scafo che sono sporche di olio carburante. Il danno ambientale è notevole, considerando che al momento sono finite in mare addirittura 20 tonnellate di carburante e che al momento il carburante si sta ancora riversando nell’acqua.
Si parla di una chiazza di 800 metri quadrati di estensione, che si è formata in corrispondenza del terzo spongente. La zona è già stata circoscritta da parte della Capitaneria di porto, con l’aiuto della Ecotaras. Le operazioni di bonifica sono già iniziate e dalle acque del mar Grande sono già state recuperate otto tonnellate di carburante.
L’imbarcazione battente bandiera panamese si trovava nei pressi del porto di Taranto perché stava scaricando materiale destinato alla zona industriale della città. Nel luogo dell’incidente è presente anche il personale dell’Arpa, l’Agenzia regionale protezione ambiente, che si occuperà di analizzare le sostanze riversate in acqua.
Secondo quanto riferito da Giorgio Assennato, direttore della sezione pugliese dell’Arpa, nella parte iniziale del pomeriggio di giovedì “lo sversamento di greggio è ancora in corso, fino a quando la sorgente non verrà bloccata la chiazza di petrolio tenderà ad allargarsi. Tutte le procedure di contenimento sono state attivate“.
Serviranno comunque diversi giorni per la bonifica. E nel frattempo il mare ha dovuto subire un altro pesante colpo dal punto di vista dell’inquinamento.
IDV e Greenpeace vogliono saperne di più
L’allarme per il carburante sversato nel mare di Taranto non si arresta. Il deputato Pugliese dell’Italia dei Valori chiede al ministro dell’Ambiente Corrado Clini di riferire in parlamento, e dichiara che questo incidente è solo la punta di un iceberg, di un problema decisamente più grande che è quello dell’emergenza ambientale che riguarda l’area di Taranto. Non bastassero le navi e l’Ilva per alimentare l’inquinamento ambientale, ci si mette prima la previsione di costruzione di un rigassificatore a minacciare l’area, e ora questa nuova tragedia. È necessario fare ordine e mettere regole precise per ridare vita alla città, e nel frattempo si spera che il Ministro dell’Ambiente possa fare chiarezza su quanto avvenuto oggi.
Anche Greenpeace sottolinea i problemi che da sempre affliggono l’area del Golfo di Taranto; nonostante il sollievo per il ridimensionamento della portata dell’incidente, l’associazione per l’ambiente riaccende i riflettori sugli scenari petroliferi che potrebbero coinvolgere il Belpaese. L’attività di estrazione di idrocarburi, infatti, era vietata da un decreto legislativo del 2010, ma con un altro decreto del 2011 il governo ha stabilito lo sfruttamento del territorio da parte di alcune compagnie petrolifere che ne avevano fatto richiesta. Le risorse economiche per contrastare l’inquinamento del mare, ormai, sono così risicate da non consentire interventi strutturali per la tutela ambientale; non a caso, infatti, il Mediterraneo è un mare fortemente inquinato dagli idrocarburi, sostanze che poi comunque si trasformano in emissioni di anidride carbonica che influenzano i cambiamenti climatici del nostro Pianeta Terra, con pesanti ripercussioni locali.
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