L’obsolescenza programmata ha scatenato un forte dibattito, che si è tradotto in Francia con la possibile adozione di una legge specifica. Progettare un prodotto che abbia una vita limitata sarà considerato un atto di truffa e questa potrà essere punita con multa e reclusione fino a 2 anni. Il tutto è nato perché i Verdi hanno votato un emendamento al disegno di legge sulla transizione energetica. In questo emendamento la strategia che molte aziende avrebbero adottato per vendere di più, con la durata della vita di un prodotto intenzionalmente accorciata, viene considerata un’azione da reprimere.
Le multe previste potranno arrivare fino a 37.500 euro. Da molto tempo gli ecologisti e le associazioni dei consumatori denunciano il fenomeno. L’ultimo caso che ha provocato parecchio scalpore riguarda gli iPhone di Apple e nasce da uno studio di un professore dell’Università di Harward, che ha messo in evidenza come, con l’uscita di modelli aggiornati, i vecchi prodotti cominciano ad essere lenti. Ci sono anche altre ricerche, che sono state condotte nel tempo e hanno avuto come obiettivo proprio quello di dimostrare scientificamente l’intenzione delle aziende. Ad esempio, l’anno scorso i Verdi tedeschi hanno commissionato un lavoro di esame di oltre 20 prodotti, riscontrando diversi casi di progettazione sospetta. Uno di essi riguardava le lavatrici, che avrebbero delle barre di riscaldamento realizzate con metalli che si arrugginiscono facilmente. In Francia, quindi, si vorrebbero adottare delle misure molto stringenti, ma bisognerà stare a vedere se la legge potrà essere varata, soprattutto a causa dell’opposizione forte da parte degli industriali.
Che cos’è l’obsolescenza programmata
Si chiama obsolescenza programmata e costituisce il principio per cui gli oggetti di cui disponiamo, in particolare quelli elettronici, non durano nel tempo, ma sono destinati a rompersi, a guastarsi e ad essere sostituiti. Una sorte che sarebbe pianificata appositamente per ubbidire alla logica stessa del nostro sistema economico – monetario, che cerca di creare una necessità senza sosta, in modo che i consumatori siano spinti a ricomprare ciò che a loro serve. Un sistema che di certo, da questo punto di vista, non presta attenzione né agli sprechi né all’importanza della sostenibilità ambientale. Differenti sono le strategie che vengono messe in atto per obbedire al principio dell’obsolescenza programmata.
In sostanza come si fa nel concreto a spingere i consumatori a gettare via un vecchio oggetto e a ricomprarlo? Innanzi tutto per esempio un determinato apparecchio può essere progettato per funzionare solo per un periodo di tempo attraverso l’impiego di componenti che non si possono sostituire o perché non vengono più prodotti e perché il loro costo supererebbe quello relativo all’acquisto dell’oggetto nuovo. Un’altra strategia consiste nel non rendere compatibili sistemi e oggetti: è il caso dei software un po’ addietro negli anni che non sono utilizzabili con i nuovi sistemi operativi informatici. Da considerare inoltre che, dal punto di vista del design, un oggetto o un capo d’abbigliamento ad un certo punto può essere considerato “fuori moda” e in quanto tale si è spinti a sbarazzarsene. Infine il ciclo di vita programmato di un prodotto può essere una conseguenza del processo produttivo: se si usano materiali scadenti o si effettuano altri tagli ai costi di produzione, il risultato consisterà in un prodotto di qualità inferiore, destinato perciò a durare di meno.
Il caso delle lampadine a incandescenza
Il caso delle lampadine a incandescenza è piuttosto emblematico. Perché questo tipo di lampadine, a differenza di quelle a risparmio energetico, duravano solo qualche mese? Il 23 dicembre del 1924 i più importanti produttori mondiali di lampadine si sono riuniti in segreto per elaborare appositi sistemi per ridurne la durata. Gli esperti iniziarono a sperimentare delle tecnologie capaci di realizzare filamenti più fragili, facendo scendere la durata delle lampadine da 2.500 a 1.500 ore.
L’impatto ambientale del consumismo
Il tutto si potrebbe definire con il termine più conosciuto dai più: consumismo. Eppure spesso non ci soffermiamo a considerare quali sono le conseguenze del consumismo in termini di impatto ambientale. Si tratta di conseguenze che riguardano soprattutto l’accumulo dei rifiuti, molte volte non adeguatamente smaltiti e che costituiscono un grosso problema per ciò che concerne la gestione della spazzatura. A destare preoccupazione sono i rifiuti elettronici, altamente inquinanti. Di conseguenza ci chiediamo perché, nonostante ci sia una consapevolezza sul problema, nessuno faccia niente per trovare una soluzione. Ancora una volta finiscono con il prevalere gli interessi economici di tutto un sistema piuttosto che la salvaguardia ambientale.
Foto di Maurizio Montanaro
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