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Se versato in acqua, 4 chili di questo prodotto possono inquinare una superficie grande come un campo di calcio. Di cosa stiamo parlando? Quale materiale altamente nocivo per l’ambiente può creare un danno così significativo? L’olio lubrificante usato. Lo utilizziamo ogni giorno quando saliamo sulla nostra automobile e, in generale, ne hanno bisogno tutti i motori a combustione interna perché attenua gli attriti delle parti meccaniche. Questo scarto industriale se smaltito a dovere può però essere rigenerato, diventando una risorsa. In questo settore siamo anche diventati un punto di riferimento all’estero, esportando la nostra tecnologia di riraffinazione. Il Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati (COOU), è nato per legge nel 1982, e svolge la sua attività con 70 aziende. Questa collaborazione ha ottenuto come risultato, in 29 anni di attività, una raccolta di oltre 4.90 milioni di tonnellate di olio lubrificante usato, di cui 4.34 milioni di tonnellate sono state rigenerate producendo 2.40 milioni di tonnellate di oli base. Abbiamo approfondito il tema con Elena Susini, responsabile comunicazione del COOU.
Chiariamo il passaggio che compie l’olio lubrificante usato quando diventa compito del vostro consorzio smaltirlo.
“I soggetti produttori di grandi quantità di olio lubrificante, officine e benzinai, fino alle industrie, sono obbligati per legge a smaltire questo rifiuto altamente inquinante – dichiara Elena Susini – noi, come Consorzio offriamo il servizio di raccolta in modo gratuito. Le aziende di raccolta che collaborano con il Consorzio si occupano di questo passaggio, porteranno successivamente il rifiuto agli impianti di rigenerazione, dopo essere stato prontamente analizzato”. È importante sottolineare che l’olio lubrificante usato è un rifiuto altamente pericoloso, che può provocare gravissimi danni all’ambiente se disperso in modo non corretto, arrivando a inquinare le falde acquifere, proprio per la sua forma liquida. Sversato nei corsi d’acqua o in mare, crea un vero e proprio filtro che impedisce il passaggio dell’ossigeno, interrompendo di fatto la vita sottomarina, che ha come prima conseguenza la moria di pesci. Il danno però non si ferma qui: la stessa acqua può essere usata anche per irrigare campi, distruggendo raccolti e creando danni diretti alla nostra salute. “L’olio lubrificante è diverso da qualsiasi altro rifiuto pericoloso; prendiamo ad esempio una batteria – continua Elena Susini – che, lasciata sul ciglio della strada, rimane nella stessa posizione finché qualcuno non arriva a smaltirla. La consistenza liquida dell’olio rende impossibile un recupero successivo e i danni all’ambiente possono essere davvero gravi”.
Non solo le aziende della cosiddetta filiera, ma anche i privati cittadini possono usufruire del servizio di raccolta gratuito del Consorzio per un piccolo quantitativo d’olio lubrificante usato, oppure possono rivolgersi ad esempio ai punti di raccolta del proprio comune di riferimento. Purtroppo in questo senso c’è ancora molta strada da fare, nonostante la legge (D.L 8 aprile 2008 sulla Disciplina dei centri di raccolta dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato, ndr) spinga le amministrazioni locali a fornire al cittadino queste isole ecologiche dove poter portare anche altri tipi di rifiuti. “I punti di raccolta autorizzati presenti sul territorio nazionale sono circa un migliaio e sono sparsi su tutto il territorio nazionale. Il nostro obiettivo è comunque quello di riuscire a raccogliere più prodotto possibile e rigenerarlo – sottolinea Elena Susini – in 30 anni d’attività solo lo 0,5% è stato termodistrutto perché non riciclabile, al resto è stata data nuova vita tramite i processi di rigenerazione”.
Che cosa si può ottenere da questo olio rigenerato? Da 100 kg di questo prodotto possiamo ottenere circa 65 kg di olio base rigenerato e 20/25 kg di gasolio e bitume, che ha come risultato un risparmio significativo sulla bolletta energetica italiana. Numeri? In 30 anni sono rimasti nelle nostre tasche circa 3 miliardi di euro sull’importazione di petrolio. Infatti circa il 25% del mercato delle basi lubrificanti che possiamo trovare ovunque in Italia è formato da basi rigenerate. È un settore nel quale ci siamo specializzati e nel quale siamo un’eccellenza anche in Europa. “Possiamo definirla una tradizione nazionale dal dopoguerra; fin da allora in Italia si è riutilizzato il lubrificante usato per gli armamenti e successivamente sono nati impianti di rigenerazione, riuscendo a coprire perfettamente le successive direttive della Comunità Europea, che prevedono proprio la rigenerazione come primo punto e poi solo in seconda fase il passaggio alla combustione. Il nostro è quindi un vantaggio rispetto agli altri Paesi europei che hanno percentuali molto alte d’indirizzo alla combustione proprio perché mancano in alcuni casi gli impianti o in altri sono in numero molto esiguo. Noi, al contrario, riusciamo a destinare quasi l’85% dell’olio raccolto alla rigenerazione” continua la responsabile comunicazione del Consorzio.
La rigenerazione dell’olio lubrificante si distingue in tre fasi, che attraverso un processo chimico fisico trasformano il rifiuto. Le nostre tecnologie sono all’avanguardia, tanto che, ad esempio, l’azienda Viscolube, che ha sviluppato e brevettato un processo di rigenerazione, ha firmato un accordo in Cina per la costruzione di un impianto con il loro metodo. Tutto questo settore di smaltimento e rigenerazione ha permesso quindi al nostro Paese d’occupare una posizione di rilievo contro lo spreco, dando nuova vita a un rifiuto altamente pericoloso che viene così trasformato in una risorsa.
Foto di Nephelim
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