Un po’ di chiarezza sul tanto discusso olio di palma, eliminato da tantissimi alimenti e tenuto alla larga dalla dieta di molte persone: perché è così dannoso per salute e ambiente?
L’olio di palma è al centro di polemiche ormai da anni. Vengono citati numerosissime volte i rischi per la salute e per l’ambiente, tant’è che, intorno a questo prodotto, sono nati innumerevoli fake news e falsi miti. Utilizzato tanto nell’industria alimentare quanto in quella della produzione energetica, è veramente pericoloso o, semplicemente, come per tutte le cose, ci sono aspetti positivi e aspetti negativi da valutare?
Innanzitutto, per far chiarezza sull’oggetto delle accuse, l’olio di palma è un grasso di origine vegetale ed è ottenuto estraendolo dal frutto della palma da olio. I paesi che principalmente lo producono sono Indonesia e Malesia. Si tratta di un olio molo versatile: a temperatura ambiente è semisolido e resiste all’ossidazione. Quest’ultima caratteristica lo rende idoneo per una conservazione più duratura dei cibi. Resistendo anche ad alte temperature, è perfetto per friggere, rientrando dunque a pieni voti nelle nostre abitudini alimentari. Oggi è praticamente ovunque: dalle merendine agli alimenti confezionati, ai cracker, ai dolciumi, ai cibi precotti. Rispetto all’olio di oliva e di semi, tra l’altro, è molto più economico. Eppure, sembrerebbe che la sua assunzione sia pericosa per la salute.
A volte viene compreso nell’etichetta di un prodotto sotto la voce “oli e grassi vegetali”, altre volte la sua presenza è esplicitamente segnalata, causa delle numerose lotte e dicerie che lo hanno messo al centro del mirino. Al momento, in Italia non è ancora vietato. Tuttavia, Senato e Camera dei Deputati hanno approvato la legge che lo escluderà, insieme a quello di soia, almeno dall’uso energetico dal 1 gennaio 2023.
Il motivo che lo rende causa di timore è la sua composizione. Contiene un altissimo livello di grassi saturi (più del 50%), e il 47% di esso è costituito da acido palmitico. Questo può stimolare la produzione e l’accumulo di colesterolo LDL, rischioso per un corretto funzionamento dell’apparato cardiocircolatorio. Se un alto tasso di colesterolo si accumula nelle vene e nelle arterie, causandone l’occlusione, c’è il rischio di sviluppare patologie gravi quali infarto e ictus.
Ancora, tra i pericoli connessi con l’olio di palma, c’è l’interazione con i farmaci per limitare la coagulazione del sangue (si parla di warfarin, enoxaparina e dalteparina) o l’influenza su alcuni organi. Nel processo di lavorazione per uso culinario, vengono generate delle tossine che intaccano i reni e creano danni per la fertilità maschile.
C’è da specificare, tuttavia, che se l’olio di palma è fresco, non è associato a questi effetti collaterali. L’olio di palma non trasformato è presente in margarine, creme spalmabili, grassi dolciari, gelati ed emulsionanti, perché si presta a sostituire il burro.
Se l’olio di palma comporta rischi di tale portata per la salute di una persona, come mai la Ferrero non lo ha mai tolto dalla tanto famigerata, amata e richiesta Nutella? La risposta è molto semplice. Essendo semi-solido a temperatura ambiente, l’olio di palma è proprio il responsabile della cremosità del prodotto. E’ il punto chiave della morbidezza e della lunga conservazione della crema spalmabile.
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Impossibile non aggiungere, tra l’altro, che un’alimentazione ricca di questi grassi saturi favorisce l’obesità: vengono accumulati dall’organismo sotto forma di adipe e la circolazione del sangue risulta compromessa. Quest’ultima altera i normali meccanismi della fame e il livello di sazietà si alza.
Di per sé, l’assunzione di questi grassi non è dannosa e sono utili, ad esempio, allo sviluppo della muscolatura. Il problema sta nell’abuso. Perché dunque, rendere necessaria l’eliminazione dal mercato, se basta assumere il prodotto di tanto in tanto? L’allarme si rende necessario a causa dell’enorme richiesta di prodotti a base di olio di palma. Il prodotto è estremamente diffuso e limitarlo all’interno della dieta sta diventando pressoché impossibile.
Oltre a provocare danni alla salute, l’estrazione dell’olio di palma è causa di problemi anche a livello ambientale. L’alta richiesta sta portando alla depauperazione dei territori con le monocolture e la deforestazione. Questo genera un forte impatto per gli ecosistemi locali e per la capacità dell’ambiente di autorigenerare le proprie risorse. Non a caso, già da tempo il WWF cerca di sensibilizzare le persone per spingerle a scelte alimentari più etiche.
La produzione di palma da olio è direttamente collegata alla deforestazione, special modo nelle aree tropicali del Pianeta. Le coltivazioni destinate alla produzione di olio di palma hanno la precedenza: le foreste vengono rase al suolo per essere sostituite con le monocolture. Questo comporta la riduzione della produzione di ossigeno, che a sua volta ha un ruolo fondamentale contro le emissioni di CO2. Lo stesso procedimento di distruzione forestale è causa d’inquinamento atmosferico: spesso gli alberi vengono eliminati con gli incendi, la soluzione più rapida. La quantità di anidride carbonica o monossido di carbonio immessi nell’atmosfera è inimmaginabile. Da anni, infatti, è noto il fenomeno della “haze”, una fitta foschia nera che copre il cielo, causata dagli incendi.
Le conseguenze nascono a catena. La deforestazione sta comportando la distruzione dell’habitat naturale di specie di animali esotici quali tigri, scimmie ed elefanti, spesso cacciati e uccisi proprio per recuperare terreno utile alle piantagioni. La popolazione degli oranghi, ad esempio, è diminuita del 90% in un secolo sull’isola di Sumatra, la sede della piantagione più grande di olio di palma.
La storia non finisce: l’abbattimento delle foreste naturali porta ad erosione del suolo. Il terreno non è più capace di contenere pioggia e acque di scolo. Questo altera il ciclo di smaltimento delle acqua e il rischio che zone quali Indonesia, Malesia, Uganda e Costa d’Avorio, vengano sommerse da alluvioni di grande intensità.
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Per ogni tonnellata di olio di palma prodotto, vengono prodotte anche 2,5 tonnellate di fluidi di scarico che contengono sostanze chimiche quali diserbanti e prodotti di raffinazione dell’olio. E come avviene il loro smaltimento? Ovviamente, nei corsi d’acqua naturali, portando danni a piante, animali e persone stesse.
La sostituzione delle foreste naturali in piantagioni di palma da olio è una delle cause principali del cambiamento climatico. Queste zone non sono più in grado di contrastare le emissioni di CO2 umane, tanto da aggiudicarsi il soprannome di “serbatoi di anidride”.
Per le popolazioni rurali locali è una vera e propria guerra. I conflitti sociali sono sempre più numerosi. Molti villaggi sono costretti all’abbandono forzato per lasciar spazio ai campi da coltivare. Senza la possibilità di praticare l’agricoltura, le classi più povere possono solo occuparsi della manodopera delle stesse piantagioni di olio di palma: la loro sopravvivenza in cambio di lavori a basso costo, spesso con ritmi da schiavi e senza alcuna forma di tutela.
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