L’equilibrio ambientale non è l’unico messo in pericolo dal cambiamento climatico. Anche l’arte ne risente. Diversi siti patrimonio UNESCO sono a rischio
Non solo la foresta amazzonica e le popolazioni indigene compromesse. Quando la mano dell’uomo senza sguardo sul futuro si propone in maniera così invasiva, anche le creazioni dell’essere umano stesso, che conserva gelosamente e di cui fa profitto spropositato vengono messe a rischio. Si parla del patrimonio artistico UNESCO. I cambiamenti climatici non minano esclusivamente le risorse naturali, di cui si fa finta quotidianamente che ce ne sia riserva infinita, ma anche le città. In particolare le città d’arte, con patrimoni inestimabili di cui in particolare l’Italia si fa vanto. Il belpaese si è storicamente guadagnato il primato mondiale per densità di opere artistiche ed architettoniche. Ed il turismo di massa nelle città d’arte ne è dimostrazione palese.
Il problema sorge quando il turismo di massa non è più sostenibile, ed esso stesso, con i continui spostamenti low cost ed il consumo di suolo, contribuisce a produrre emissioni di C02 tali da giustificare un cambiamento climatico sensibile. Ed in un’ottica non lontana dalla realtà le prossime generazioni potranno ammirare le bellezze artistiche ed architettoniche solo in video. La crisi climatica sta distruggendo numerosi siti patrimonio UNESCO. Il caso di Venezia è noto a tutti. La laguna, cornice affascinante della città decadente per antonomasia, corrode sempre più i palazzi storici e sta prendendo il sopravvento sulla città.
Tuttavia Horizon – the EU Research & Innovation Magazine, segnala che “i primi costruttori di Venezia spesso riutilizzavano pietre e altri frammenti di edifici trovati localmente. Man mano che la città divenne più ricca, iniziò a importare materiali freschi che erano di migliore qualità e si stanno dimostrando più resistenti agli impatti dell’aumento delle maree e delle inondazioni”.
Cambiamenti climatici, il progetto Hyperion per salvare i siti UNESCO
Molti edifici antichi sono stati già danneggiati dal cambiamento climatico. È quanto afferma senza ombra di dubbio il coordinatore del progetto Hyperion, Angelos Amditis, direttore ricerca e sviluppo all’Istituto di comunicazione e sistemi informatici (ICCS) di Atene. “Le inondazioni e l’aumento delle temperature stanno già danneggiando gli edifici antichi. Se non agiamo in fretta, se non assegniamo le giuste risorse e conoscenze e… creiamo un’alleanza comune per affrontare i problemi del cambiamento climatico, pagheremo molto caro”.
L’operazione Hyperion mira a mappare i siti a rischio e supportare le comunità locali nel portare avanti progetti di recupero o rinforzo, adatti alla specificità di ogni edificio antico. Lo scoglio maggiore non è la fattibilità del progetto, quanto cercare di coniugare la corsa alla modernità con la tutela dell’antichità. “Ad esempio – continua Amditis – la bellissima città greca di Rodi è colpita da frequenti ondate di caldo, terremoti e inondazioni. Ma i suoi edifici medievali hanno anche bisogno di protezione dai danni causati dai pesanti camion per le consegne. Questo potrebbe comportare la ricerca di un modo meno dannoso per trasportare merci alla popolazione locale”.
Allo stesso modo Amburgo ha di recente realizzato lavori di dragaggio per consentire alle navi di raggiungere più facilmente il porto. Ma questo intervento, insieme ai cambiamenti climatici, sta alzando i livelli dell’acqua e minando l’integrità del quartiere storico dei magazzini. Il monitoraggio continuo è la soluzione migliore per preservare i patrimoni artistici, come anche il cercare soluzioni alternative ai mezzi pesanti per trasportare merci.
Ma questo richiederebbe impegno e denaro, ed è difficile convincere le realtà locali. Hyperion, oltre alla mappatura ed agli interventi, lavora proprio su questo. Sulla mediazione con le comunità locali, per fargli prendere coscienza dei rischi a cui espongono gli edifici antichi, che portano anche turismo e ricchezza. Tuttavia non è semplice, il problema è l’ordine delle priorità. Con la pandemia ed a seguire la crisi energetica, la tutela artistica finisce in coda alle esigenze, e non si riesce a trovare facile appiglio.
Conclude Amditis: “Con l’Europa e altre regioni che affrontano le crisi combinate della pandemia di Covid-19, della guerra in Ucraina e dell’aumento del costo della vita, è facile per i leader spingere la conservazione del patrimonio culturale in fondo alla lista delle priorità. E’ un’attività molto costosa e dispendiosa in termini di tempo, ma vale il tempo e le risorse. Se perdiamo anche un solo sito, è una grande perdita per l’umanità”.
Agire alla radice del problema può essere una soluzione. Il cambiamento climatico deriva, detto in termini semplicistici, da politiche poco attente al futuro. Da questa crisi si instaura un circolo vizioso per cui si compromette il clima per profitto, e poi lo stesso deve essere investito per tutelare salute ed integrità. Alla fine dei conti è così conveniente?