Tra i prodotti della pesca il calamaro ha un suo posto nelle cucine di tutto il mondo. Ma un nuovo ed importante studio pubblicato da un team della University of California segnala come questa attività avvenga ormai troppo spesso in zone prive delle necessarie regolamentazioni
Lo sfruttamento delle cosiddette risorse ittiche, che nella pratica significa la pesca di ciò che il mare ha da offrire, è da tempo regolamentato per evitare che l’attività umana porti a livelli critici il numero di esemplari delle varie specie che vengono pescate. Senza una regolamentazione che per esempio stabilisce dove nel mondo si può pescare e quando è possibile uscire a pesca, da tempo probabilmente molte specie si sarebbero completamente estinte. La regolamentazione ha infatti il principale scopo di proteggere i pesci in quelli che sono i loro periodi riproduttivi per garantire popolazioni consistenti.
Come è facile intuire la protezione delle specie che vengono pescate non è solo un bene per gli ecosistemi in cui queste specie vivono ma anche la garanzia della sopravvivenza di quelle stesse attività di pesca che altrimenti si troverebbero in pochissimo tempo con reti completamente vuote e la necessità quindi di abbandonare. Ma per quello che riguarda la pesca del calamaro il nuovo studio della University of California pubblicato su Science Advances lo scorso 10 marzo i numeri relativi all’attività legata ai calamari sono allarmanti e devono produrre risposte globali in tempi brevi.
Come riportato nello studio che ha coinvolto tra gli altri lo Australian National Center for Ocean Resources and Security e la Japan Fisherie Research and Education Agency, dalla analisi di una serie di immagini satellitari e dati raccolti sul campo ciò che emerge è che la pesca al calamaro, potendo contare su una flotta di pescherecci che sono spesso mezzi molto veloci e in grado di percorrere quindi molte miglia nautiche rapidamente, si sta allargando ad aree in cui non è prevista nessuna regolamentazione dell’attività di pesca.
La pesca in mancanza di regole che stabiliscono la quantità del pescato, la misura e quindi di conseguenza l’età del pesce che può essere raccolto rischia di mandare in crisi gli ecosistemi di cui gli stessi calamari fanno parte. I numeri diffusi attraverso lo studio della University of California sono infatti allarmanti. Quasi il 90% dei pescherecci che si occupano di pesca al calamaro si muovono proprio nelle aree in cui non c’è controllo o regolamentazione.
Anche se, e viene sottolineato nello stesso studio, pescare in acqua in cui non c’è il regolamentazione non di per sé costituisce una attività illegale, rimane comunque qualcosa che ha bisogno “di una azione urgente” come dichiarato da uno degli autori dello studio Quentin Hanic. Masanori Miyahara, altro coautore, ribadisce: “questa pesca spesso non viene riportata agli organi di controllo domestici o internazionali né viene incorporata nelle stime di pesca, di raccolta o per lo status della risorsa“. È fondamentale, prosegue sempre Miyahara, che tutti coloro i quali hanno voce in capitolo sugli oceani si muovano all’unisono per creare un corpo di regole che protegga tutte le aree di pesca e quindi tutti gli oceani.
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