Con i cambiamenti climatici sono sempre più i pesci che cambiano le acque nelle quali vivono, quelli tropicali si spostano nell’Atlantico
Il 17 novembre del 1969 venne inaugurato il Canale di Suez, realizzato dal francese Ferdinand de Lesseps con il progetto di Luigi Negrelli, ingegnere italiano. Per vederlo compiuto ci sono voluti 10 anni e sono state molte le nazioni europee che hanno cooperato per far sì che diventasse realtà. Ad oggi il Canale di Suez permette la navigazione attraverso il Mar Rosso tra il Mediterraneo e l’Oceano Indiano, non dovendo così circumnavigare il continente africano.
Attraverso il canale però ad oggi transitano anche moltissime specie di pesci che grazie alle correnti sono arrivate fino al Mediterraneo. Specie che continuano a spostarsi sempre più raggiungendo, in un futuro non così lontano, ipoteticamente anche l’Oceano Atlantico. Se fino ad ora c’erano delle “barriere invisibili” formate dalle diverse temperature delle acque che delimitavano i vari habitat, con i cambiamenti climatici e le temperature che si alzano vertiginosamente, queste “barriere” tendono a scomparire sempre più.
Dal Mediterraneo all’Atlantico, i pesci cambiano il loro habitat
“Da oltre 150 anni, le specie indo-pacifiche stanno colonizzando il Mar Mediterraneo attraverso il Canale di Suez, con impatti ecologici e socioeconomici crescenti” è quanto riportato da un recente studio pubblicato su Frontiers in Ecology and the Environment condotto dal CNR “[…] dimostriamo che le condizioni di riscaldamento stanno ora indebolendo le barriere climatiche che storicamente hanno impedito a queste specie di espandersi ulteriormente e di spostarsi nell’Oceano Atlantico“.
Questo fenomeno si chiama “migrazione lessepsiana” e vede in un futuro non così lontano, coinvolte specie di pesci tropicali che migrano verso l’Oceano Atlantico. Si ipotizza che entro il 2050 non ci saranno più “barriere” e quindi si assisterà ad una omogeneizzazione biotica. Tutto questo non è una buona notizia in quanto porterebbe ad una distruzione della biodiversità, alcune specie prevarranno su altre portandone all’estinzione.
“La nostra analisi funge da avvertimento che si spera possa stimolare una maggiore ricerca, sorveglianza (incluso l’impegno pubblico nel rilevamento) e un’adozione proattiva di politiche di mitigazione del cambiamento climatico” viene concluso così l’articolo pubblicato su Frontiers in Ecology and the Environment dal CNR, una speranza che si vorrebbe non restasse vana.