In una zona a metà strada tra il concetto di distopia e di utopia sta crescendo una nuova idea di futuro dal nome protopia. Ecco perché dovremmo tutti imparare questo nuovo termine
Il futuro sembra sempre molto lontano e filosofi, scienziati e scrittori lo hanno dipinto a più riprese attraverso scenari che sono spesso molto tetri oppure, di contro, con scenari e futuri in cui tutto è meraviglioso (salvo poi precipitare). Questi due concetti sono espressi dai termini molto usati distopia e utopia. Il termine utopia nasce quando Thomas More lo conia per descrivere il suo Stato ideale. 500 anni dopo stiamo ancora cercando proprio di creare sulla terra forse un’utopia. Ma nella stessa parola coniata dal filosofo inglese c’è già la sua stessa impossibilità a realizzarsi.
Utopia mette insieme infatti il termine greco topos, che significa luogo, e il prefisso privativo ou che significa non. Da cui ne viene che utopia semplicemente significa luogo che non esiste. All’altro capo si trova invece la distopia. Qualcosa in cui il futuro mostra il peggio di sé. E infatti distopia, la cui prima apparizione anche secondo l’Oxford English Dictionary risale alla metà del 1800, ha in sé la sua stessa spiegazione. Distopia è stato creato a partire sempre da topos ma sostituendo il prefisso ou con dus o dis che identifica qualcosa di cattivo e malvagio. La distopia è quindi il racconto di un luogo e di un tempo malvagio. Ma il nostro futuro deve davvero essere tetro o impossibile? Secondo il filosofo Kevin Kelly non necessariamente.
Come già visto, se l’utopia è un luogo bellissimo ma irrealizzabile e quindi irraggiungibile e la distopia è invece quel futuro brutto, grigio e sconvolto che ci hanno raccontato spesso i libri e i film di fantascienza c’è una terza strada che secondo il visionario ambientalista americano, nonché fondatore di Wired Magazine, Kevin Kelly possiamo perseguire.
Nel 2009 Kelly si trovava nel mezzo della scrittura del libro che sarebbe poi uscito nel 2010 con il titolo di What Technology Wants. Lo scrittore era alle prese con l’idea che non ci dovesse essere per forza o una società che risolve tutti i problemi o una società che si lascia distruggere da questi ma una via per cui il genere umano prova a migliorare un po’ per volta. Ed è per descrivere questo cammino di miglioramento che nasce proprio il termine protopia. Stavolta il prefisso, come spiegato dallo stesso Kelly, è lo stesso utilizzato in termini come prototipo oppure in professionale ma anche nella accezione di “pro e contro“.
Il termine coniato da Kelly potrebbe sembrare un esercizio linguistico ma deve invece entrare nel linguaggio comune. La necessità di vedere il futuro come una possibilità di miglioramento è infatti importante anche per spingere le persone a muoversi verso quell’ideale. La teoria della protopia non è quindi un luogo che non esiste, o non esiste ancora, ma è il luogo che ogni giorno abitiamo quando da oggi guardiamo a domani e quando oggi facciamo qualcosa perché il domani sia migliore.
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