Questo genere di notizie non si avrebbe mai la voglia di darle: non per non far sapere la verità, bensì perché si spera che non avvengano più simili fatti. Invece non è così, e a questo punto raccontarli diventa un obbligo. Il fotoreporter Gianni Lannes è uno che è sempre stato in primo piano per la legalità, nell’attenzione dell’ambiente, spendendosi per uno sviluppo del territorio sensato e costruttivo. Ma questo, ovviamente, non fa piacere a molti: a quelli che vivono sui profitti illeciti, sul business dell’ecomafia, ad esempio.
Risale a venerdì scorso l’ultima minaccia: un bigliettino nell’auto della moglie, in bella vista sul seggiolino del loro figlio piccolo. Il messaggio era fin troppo esplicito «Hai famiglia, non rompere più con l’ecomafia». E non era certo la prima volta a ricevere intimidazioni simili.
Gli interessi toccati sono, evidentemente, molto più grandi di lui. Come la questione della bonifica del sito della centrale nucleare di Caorso, bonifica mai portata avanti in seguito al referendum del 1987 nel quale gli italiani dissero no all’energia atomica. Una storia che sembra ripetersi e rievocare un altro recente referendum sul nucleare.
Restiamo però su Caorso e sulla centrale -costruita per produrre energia nucleare atta a soddisfare il fabbisogno energetico non solo locale-: un’incursione del 2008 del giornalista ha messo in luce lo stato attuale in cui versa la centrale e la facilità con la quale era stato possibile accedervi. E lì, lì fece una scoperta importante. Un camion di una società genovese, a cui un’altra società (chiamata per bonificare l’area) aveva appaltato il lavoro. Nessun problema, fin qui, a parte il fatto è la società appaltatrice è di una famiglia dell’ngrangheta. E a dirlo non è solo Lannes, è direttamente la Direzione investigativa antimafia.
Qualcosa andava fatto, e invece il susseguirsi di minacce non è stato corrisposto ad una reazione viva e vitale dello Stato. Nonostante l’avvicendarsi dei governi, al momento Lannes non ha alcun trattamento di tutela per la sua vita e a sua famiglia. Un fatto un po’ troppo grave, che vogliamo portare a conoscenza dell’opinione pubblica. Perché l’inquinamento ambientale, una gestione dei rifiuti malsana e criminale, la mancata bonifica di un’area così delicata sono questioni importanti, che riguardano tutti, e un giornalista non può essere lasciato solo a denunciare. Mentre lo Stato sta a guardare qualcuno che fa quello che dovrebbe fare lui.