Il carburante per le auto potrà essere ricavato dagli scarti di una distilleria scozzese. È una novità rivoluzionaria nata dall’accordo tra la Tullibardine distillery nella regione del Pertshire, in Scozia con l’azienda Celtic Renewables, convenzionata con l’Università Napier di Edimburgo. La notizia è stata diffusa dal sito della Bbc, alcuni giorni fa. L’obiettivo del progetto è quello di realizzare un biocarburante di nuova generazione che sia ricavato dagli scarti di lavorazione del whisky, ovvero i residui della distillazione del malto e del mosto.
Un passo importante nello sviluppo di un business che unisce le due aziende scozzesi, ovvero whisky ed energie rinnovabile. È quanto si legge da una dichiarazione del professor Martin Tangney, fondatore della Celtic Renewables.
Da progetti di questo tipo è possibile dimostrare come l’uso innovativo delle tecnologie esistenti permetterebbe di sfruttare risorse che si trovano ovunque per contribuire al benessere dell’ambiente e anche dell’economia, dati i prezzi sempre più alti del carburante.
Gli scarti delle distillerie, materie, che fino a qualche hanno fa venivano usate per dar da mangiare al bestiame negli allevamenti, ora vengono applicati per la produzione di biocarburante, nello specifico biobutanolo, ad alta efficienza e basse emissioni, più simile alla benzina rispetto all’etanolo.
Il vantaggio sarà raggiunto anche nel campo della distilleria, dove le spese annuali per lo smaltimento dei rifiuti raggiunge le 250.000 sterline, stando a quanto dichiarato dall’amministratore delegato di Tullibardine, Douglas Ross.
Foto di MaryM.
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In Italia il primo impianto di biobenzina sostenibile
A cura di Gianluca Rini
In questo modo quindi si riducono le emissioni di anidride carbonica e non si fa altro che tenere conto della tutela ambientale. Un biocarburante molto particolare, quindi, che non incide assolutamente sulle colture agronomiche alimentari.
Questo ultimo procedimento è invece necessario nel caso della produzione di biocarburanti che vengono prodotti dal mais, dalla palma, da grano e dalla soia. L’azienda che ha messo a punto l’impianto di questo particolare biocarburante è la Mossi&Ghisolfi.
Al momento l’eco-benzina in questione può essere usata solamente su auto della tipologia Flexyfuel, delle vetture che possono utilizzare diversi tipi di combustibile per funzionare. Secondo l’azienda si tratterebbe di un modo ottimo per ridurre le emissioni sulla base degli obiettivi stabiliti per il 2020.
In pratica, utilizzando anche delle percentuali basse, si potrebbe effettuare una riduzione del 10% della produzione di combustibili da fonti rinnovabili. Le soluzioni tecnologiche innovative ci permettono quindi di guardare al futuro con un po’ di ottimismo in più.
Con la certificazione obbligatoria arrivano anche i dubbi
Per i biocarburanti scatta la necessità della certificazione obbligatoria, da ottenere entro agosto, per attestare la tracciabilità del processo di produzione e il rispetto dei criteri di sostenibilità ambientale. Solo in questo modo si potrà essere sicuri che non ci siano imbrogli sulla composizione dei biocarburanti e che vengano prodotti provvedendo ad un’effettiva riduzione dell’anidride carbonica. In Italia l’unico organismo accreditato per il rilascio delle certificazioni è l’Icim. Le certificazioni rilasciate sono valide anche a livello europeo.
La situazione sulle certificazioni non lascia affatto una via di scampo. Eppure alcuni studi compiuti di recente metterebbero in dubbio gli effettivi benefici ambientali che possono essere ricavati in seguito alla produzione e all’utilizzo dei biocarburanti.
In particolare viene preso in considerazione uno studio di Keith Smith e Timothy Searchinger, secondo il quale i vantaggi ambientali apportati dai biocarburanti sarebbero sovrastimati. I benefici si avrebbero solo se per produrre biocarburanti si ricorre all’uso di suoli marginali e degradati.
Un altro problema sarebbe costituito dai fertilizzanti azotati per la crescita di piante per biocarburanti. I fertilizzanti azotati contribuiscono anch’essi al peggioramento del riscaldamento globale.
Intanto per il nostro Paese il settore dei biocombustibili continua ad avare un ruolo molto importante, determinando per l’Italia il quarto posto in Europa. In ogni caso il dubbio sull’impatto ambientale dei biocarburanti resta: chi ha veramente ragione, i produttori o i responsabili delle ricerche scientifiche?
Entro il 2050 copriranno il 27% del fabbisogno dei trasporti
In materia di sviluppo dell’utilizzo dei biocarburanti, riportiamo una interessante stima compiuta dall’Agenzia Internazionale per l’Energia, che ha cercato di prevedere in che modo i biocarburanti troveranno diffusione all’interno del settore dei trasporti (via terra, mare, cielo) nel corso dei prossimi decenni, fino a giungere alla stima di lungo termine datata 2050.
Ebbene, stando alle previsioni dell’Agenzia, è presumibile che i biocarburanti possano soddisfare il 27% del fabbisogno di carburanti del settore dei trasporti entro i prossimi quarant’anni, rispetto ai soli due punti percentuali di attuale partenza.
Si tratterebbe pertanto di uno sviluppo molto intenso, che parte da una base piccola ma in grado di garantire delle ricerche tecnologiche molto dinamiche, quali appunto le analisi sui carburanti ecologici di cui più volte abbiamo parlato nelle pagine di Ecoo.
Rispetto all’attuale risparmio di petrolio, pari a 55 milioni di tonnellate, nel 2050 si potrebbe arrivare a tagliare la produzione di greggio di circa 750 milioni di tonnellate.
Tuttavia, l’Agenzia è anche pronta a spegnere i facili entusiasmi. Per perseguire gli obiettivi di cui sopra sono infatti necessari ben 13 trilioni di dollari di investimenti.
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