Riciclare i rifiuti della fast fashion e provare così a renderla meno inquinante? Da oggi è possibile e c’è uno studio che lo dimostra.
È la moda ultraveloce, quella usa e getta che costa poca in termini di spesa personale ma che ha un elevato costo globale. Dei problemi causati dalla fast fashion si parla ormai da anni. È stata ormai da tempo sdoganata l’idea che questo settore della moda, che ormai è anche quello in prevalenza, non abbia alcun vantaggio né socialmente etico -lo sfruttamento dei lavoratori dell’industria tessile dal Bangladesh alla Cina sono state più volte messi in evidenza in inchieste giornalistiche- né tanto meno dal punto di vista ambientale, tra costi di produzione, trasporto e accumuli in discarica, la fast fashion è uno di quei settori che maggiormente sta incidendo sui cambiamenti climatici.
Negli anni ultimi anni sono state tante e diverse le azioni messe in atto per contrastare questa pratica, tanto dalle istituzioni quanto ai gruppi di attivisti che hanno segnalato come in molti casi l’etica professate dalle aziende di settore nasconda pratiche di greenwashing.
Qualcosa però potrebbe cambiare. Uno dei principali problemi di questo settore è l’accumulo in discariche -spesso a cielo aperto e in Paesi ancora molto poveri o in via di sviluppo- dei rifiuti del fast fashion ed è proprio da questa parte consistente del problema che ci si è concentrati per riuscire a trovare una soluzione.
Si aprono nuove speranze non nel contrasto a questa forma tossica di moda ma, quanto meno, ad un suo minore impatto sul pianeta. Lo dimostra uno studio pubblicato di recente sulla rivista Science Advances; un lungo articolo nel quale gli autori/ricercatori spiegano il loro nuovo approccio chimico allo smaltimento dei rifiuti della fast fashion.
Nello specifico, questo approccio permette in pochi minuti di sperare le diverse fibre tessili, quindi il nylon cotone, poliestere ed elastan, andando così ad affrontare una delle sfide più importanti nel riciclo ovvero quella del riutilizzo delle fibre miste. Se consideriamo che ogni anno la fast fashion produce qualcosa come 92 milioni di rifiuti tessili e che solo l’1% di questi viene riciclato proprio a causa delle miscele di tessute utilizzate, va da sé che questa nuova tecnica di riciclo apre importanti prospettive in un futuro prossimo.
Il processo di riciclo attuato è quello della depolimerizzazione che, in solo 15 minuti, ha scomposto il poliestere in un ingrediente utile per filati, resine e filamenti chiamato BHET. Mentre lo spandex è stato trasformato in monomeri, tra cui MDA componente chiave nella schiuma di poliuretano e nelle plastiche in fibra di vetro. Un processo che, infine, riesce a mantenere l’integrità del cotone, tra le fibre tessili più delicate.
Stando ai calcoli degli studiosi questo processo in un prossimo futuro sarà economicamente ed industrialmente fattibile e con gli eventuali ed inevitabili perfezionamenti il tasso di riciclo dei rifiuti della fast fashion può arrivare anche all’88%.
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