Anche l’elettronica produce i suoi rifiuti. A loro si dà il nome di RAAE: Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche. E sono soggetti ad una normativa particolare.
La legge che regola lo smaltimento di questi rifiuti è la n.151/2005. Nel testo viene anche data una definizione precisa dei rifiuti elettronici: «apparecchiature che dipendono per un corretto funzionamento da correnti elettriche o da campi elettromagnetici […] progettate per essere usate con una tensione non superiore a 1.000 volt per la corrente alternata e a 1.500 volt per la corrente continua». In questa definizione rientrano ad esempio le luci, i condizionatori, gli elettrodomestici ed i computer. Come vediamo il raggio d’azione è abbastanza ampio, tanto è vero che ogni abitante produce almeno 14 kg di rifiuti elettronici ogni anno. Ed il ritmo è in continua crescita.
Il problema è che si tratta di rifiuti molto inquinanti poiché contengono composti difficili da trattare quali ad esempio il mercurio o i cfc (clorofluorocarburi) che sono i refrigeranti in uso nei frigoriferi responsabili dell’assottigliamento dello strato di ozono nell’alta atmosfera. Come vengono smaltiti? Molti comuni italiani, circa 2.700 (con un servizio rivolto a circa il 70% della popolazione), sono iscritti al Centro di Coordinamento RAAE che gestisce i centri di raccolta (Ecocentri) dei rifiuti elettrici ed elettronici nei comuni consorziati. Ma con l’entrata in vigore nel 2008 della normativa precedentemente citata, i consumatori possono portare i propri rifiuti non più nelle eco-piazzole comunali ma direttamente ai distributori in caso di nuovo acquisto.
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